Governo Draghi, fiducia: i ribelli fuori dall'aula. E Conte torna a fare il professore

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di Emilio Pucci

Venticinque senatori. Sono quelli che in M5S continuano a discutere sul da farsi, orientati sul no a Draghi. Nomi già emersi come Crucioli, Abate, Angrisani, Vanin, Morra, Lezzi, Presutto, Corrado. Ma ci sono anche due esponenti del direttivo come Lanzi e Castellone e esponenti pentastellati finora considerati legatissimi ai vertici. Un segnale che la partita sulla fiducia al governo sta scardinando vecchi equilibri, rovinando rapporti personali, oltre che politici.

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PISCODRAMMA CONTINUO

E’ uno psicodramma continuo. Tra urla, pianti, minacce. Due giorni fa la senatrice Naturale ha ceduto alle lacrime. Così altri suoi colleghi. Un punto di sintesi non si trova. E nel frattempo l’ala governista sta conquistando campo, convincendo i dubbiosi ad attenersi alla linea Rousseau. Mentre per ora l’ex premier Conte si è sfilato. Potrebbe ritornare in gioco qualora non si raggiungesse il quorum nella votazione su Rousseau sulla nuova governance e puntare a diventare il capo politico. Ma ha spiegato che tornerà a fare il professore a Firenze, premettendo di credere molto nell’alleanza M5s-Pd-Leu: «Vedremo quale sarà il mio ruolo insieme agli amici e ai compagni di viaggio con cui ho lavorato», ha sottolineato. Alla Camera i frondisti sul no a Draghi “senza se e senza ma” sono una decina, tra questi quelli sicuri sono Colletti, Forciniti, Maniero, Costanzo, Giuliodori, Vallascas. Ma anche a Montecitorio il dissenso si sta riducendo e il piano del gruppo autonomo stenta a decollare. Ma alle Camere c’è tutto un fronte – dentro anche i cosiddetti contiani – che non vorrebbe staccarsi dal Movimento. Da qui l’appello ai capigruppo: «Bisogna trovare una soluzione onorevole, non potete umiliarci». La richiesta avanzata è stata quella di optare per la libertà di coscienza, ovvero per l’astensione.

Ci si appella ad un cavillo, al fatto che la fiducia in questo caso non sarebbe votata per un presidente del Consiglio indicato dal Movimento 5Stelle. Ma niente, per ora tutti i tentativi di mediazione sono stati inutili. Gli irriducibili restano sulle proprie posizioni, ma il resto della truppa che ha espresso il proprio malcontento dopo aver letto la lista dei ministri rischia di assottigliarsi. In molti non ci saranno alla prima chiama ma è possibile che alla seconda, per evitare di vestire i panni dei kamikaze, possano poi appalesarsi.

Del resto il messaggio ai dissenzienti è stato chiaro: «Potremmo acconsentire al massimo a qualche assenza in Aula». Ovvero «non venite e forse vi salvate».

 

Ma così si creerebbe una spaccatura nei fatti, perché a quel punto sarebbero proprio i governisti ad insorgere. «Sarebbe un precedente pericoloso», il refrain. Del resto anche l’intervento del presidente dell’associazione Rousseau Casaleggio, che ha consigliato di permettere l’astensione, è stato considerato come una ingerenza. Ieri a palazzo Madama si è tenuta una riunione del direttivo che non ha portato ad alcun riavvicinamento. Ma il gruppo al Senato resta una bomba ad orologeria. L’ex sottosegretario Castaldi ha smentito di aver chiesto la testa di Crimi, ma altri sono pronti a chiedere un passo indietro del capo politico. La posizione dei vertici è netta e dovrebbe essere rimarcata in un’assemblea congiunta che si terrà oggi. Anche perché – questo il ragionamento – se ci spaccassimo faremmo un danno al Movimento. Non solo d’immagine e di potere decisionale sul programma ma anche nella partita dei sottosegretari. Ai pentastellati – sempre che Draghi decida di comporre il sottogoverno solo di politici – spetterebbero tre viceministri e una decina di sottosegretari. Tra i vice va verso la conferma la pentastellata Castelli che dovrebbe rimanere al Mef, anche perché è l’unica che ha seguito i dossier economici nel governo Conte. Vanno verso una riconferma anche Cancelleri e Buffagni, mentre per i sottosegretari M5S pescherà soprattutto tra gli esponenti del Sud e proprio di palazzo Madama.

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Ultimo aggiornamento: Martedì 16 Febbraio 2021, 10:49
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