Giorgia Meloni in aula attacca: «Se non ci fossimo noi Italia come la Nordcorea»

Video

di Mario Ajello

Una sola opposizione, la sua. E Giorgia Meloni si prende la scena. Sfida Draghi, di cui ha un ottimo giudizio personale ma questo governo non lo vuole e lo dice con forza. E l'unico brivido di una giornata piatta - da draghismo ben assestato davanti a un'Italia che gli chiede tantissimo e a un Parlamento che pare in letargo - sta nell'attesa del suo discorso serale. «Non avrà il nostro voto di fiducia - dice Giorgia rivolta al premier, tra gli applausi dei suoi - ma avrà il nostro stimolo e il nostro supporto per ogni decisione che reputeremo giusta, perché noi siamo prima di tutto dei patrioti!». E ancora: «Presidente Draghi, lei disse in un celebre discorso che avrebbe salvato l'eurozona: whatever it takes. E aggiunse: credetemi, sarà abbastanza. Oggi quello che noi ci aspettiamo da lei è che dica con la stessa determinazione che farà tutto quello che serve per difendere l'Italia: le sue aziende, il suo lavoro, i suoi confini, la sua identità. Noi la giudicheremo su questo, solo su questo, senza pregiudizi e senza sconti». Il tono si alza: «Anche noi, Presidente Draghi nell'ambito del nostro mandato faremo tutto quello che serve per salvare questa nazione e la sua democrazia e non so dirle se sarà abbastanza, ma sarà certamente tutto quello che potevamo fare».

Draghi: «Colpirò la burocrazia lumaca». Fiducia con 535 sì e 56 no. M5S, 16 voti contrari e 12 assenze

Beppe rompe con Casaleggio, «Torno in pista e decido io», un posto al vertice per Conte

Scontento sociale


Non si sente sola la Meloni nella sua «opposizione patriottica». Cerca di farsi portavoce di tutto quello scontento dei cittadini che in tempi di pandemia hanno perduto il lavoro, non vedono arrivare come dovrebbero i ristori e temono che il futuro prossimo sarà peggiore del presente e del passato. I nuovi dati sulla fiducia riposta nei leader elaborati da YouTrend dicono che la sfida italiana è proprio tra Mario e Giorgia. Lui è primo con il 62 per cento, lei è terza con 39 per cento (Salvini è al 33 con Zaia) e calcolando che il secondo posto di Conte (41 per cento) non durerà perché ormai lui è fuori dai giochi, il testa a testa è tra Draghi e Meloni.

In Fratelli d'Italia sono arciconvinti che la posizione anti-governativa, ma costruttiva e non sfascista, darà al partito centralità nel panorama italiano.

Questo lo sa anche Salvini ed è per questo che, per non lasciare campo libero a Giorgia, sta già muovendo la Lega in modalità di lotta e di governo. Di certo il fossato tra i due partiti si è aperto, anche se l'imminenza delle elezioni amministrative - a Roma soprattutto - sconsigliano i due leader ad allargarlo troppo. Da questo punto di vista non giova, ma così è, la transumanza di personale politico dalla Lega a Fdi. Ieri è passato pure il capogruppo leghista al consiglio regionale della Basilicata, Tommaso Coviello. E' per il no al governo Draghi e dunque ha aderito a FdI.

Se Draghi in Senato ha citato il liberale Cavour (e il Papa), la Meloni a Montecitorio ha ricordato il celebre aforisma del comunista Bertolt Brecht: «Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati». Poi, più avanti, la leader di FdI ha fatto riferimento ad una frase del Mahatma Gandhi: «Ascoltandola ieri - ha detto rivolgendosi a Draghi - mi è venuto in mente Gandhi: sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Perché ci sono cose condivisibili in quello che lei ha detto, il problema è come si conciliano con le sue scelte». E con una compagine di governo che la destra meloniana considera tutta sbilanciata a sinistra con Pd e M5S egemoni e seduti nei dicasteri che contano.

No ribellismo

Sono toni, parole, posizioni, quelle dell'unica oppositrice alla maggioranza extra-large («Se non ci fossimo noi, l'Italia sarebbe come la Corea del Nord»), lontane mille miglia dalla cultura della destra ribellista o dalla demagogia più andante. Lo spirito collaborativo non mancherà e del resto la Meloni ha già consegnato a Draghi un fitto dossier sulla «disastrosa gestione» del commissario Arcuri e gli ha pure consegnato il plico con i 4 punti da inserire secondo FdI nel Recovery Plan: sostegni alla natalità, infrastrutture, legalità e marchio Italia. E comunque, aver negato il ricorso alle elezioni dopo la fine del governo Conte è la vera anomalia italiana: si vota dappertutto ma qui no, e dunque siamo una democrazia non piena: è il refrain della Meloni. Che mette in guardia Draghi: «Oggi sono tutti con lei, presidente Draghi, poi vedrà quando scatterà il semestre bianco... Vedrà quanti temerari dissidenti usciranno fuori». Quando non esisterà più il terrore delle urne, insomma, il governo ballerà la samba. Parola di Giorgia.

 

Video

Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Febbraio 2021, 07:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA