Furbetti del bonus, Cheli: «Obbligati alla trasparenza, ma per scoprirli basta aspettare il 730»

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di Diodato Pirone
«Quando c'è una erogazione di denaro pubblico bisogna sapere da dove viene il denaro e dove va. Nel caso specifico dei deputati che hanno ottenuto il bonus da 600 euro, il principio della privacy in un modo o nell'altro sarà superato. In ogni caso i deputati sono tenuti a rendere pubblici i loro patrimoni e le loro entrate. Se nessun parlamentare dovesse auto-denunciarsi, neanche con il 730, la presidenza della Camera a quel punto potrà chiedere all'Inps di rendere pubblici i nomi dei deputati gratificati dal bonus perché il principio di trasparenza prevale su quello della privacy per chi svolgo attività pubblica». Parola del professor Enzo Cheli, giurista, ex giudice della Consulta ed ex presidente dell'Autorità di garanzia sulle Comunicazioni.

Professor Cheli, ma che idea si è fatto di questa vicenda?
«E' un caso scandaloso e l'indignazione generale è giustificata. Se sarà confermato che non si è trattato di un errore, i parlamentari che hanno chiesto il bonus non credo possano restare al loro posto cavandosela con una restituzione. Mi rendo conto che sul piano formale non siamo di fronte a un reato e che parlare di porre fine al mandato di un parlamentare è sempre tema delicato. Ma non vedo proprio come si possa accrescere la fiducia nelle istituzioni se non si agisce in modo netto».

L'inps si fa scudo della privacy. E' una barriera superabile?
«In questo caso mi pare proprio di si. L'Inps si attiene alla legge che garantisce l'anonimato. Ma, come ho detto, i deputati hanno il dovere di rendere trasparenti i propri redditi e i propri patrimoni. Se i parlamentari che hanno ottenuto il bonus non si riveleranno basterà attendere il prossimo 730. Di fronte ad una specifica richiesta della presidenza della Camera l'Inps non può che far conoscere le sue elargizioni ai parlamentari. Se i deputati coinvolti pensano di farla franca con la privacy forse possono guadagnare un po' di tempo ma si tratta di un baluardo debole e aggirabile».

E' possibile ipotizzare un intervento retrodatabile?
«Mi dicono che alcuni parlamentari stanno pensando ad emendamenti ad hoc da inserire nei prossimi decreti. Vedremo. Quello che è certo è che le norme che regolano il bonus sono state scritte frettolosamente».

Il Tesoro sostiene che non c'era tempo da perdere se si voleva lanciare un segnale al ceto medio e porre un tetto avrebbe ritardato l'erogazione del bonus da parte di un'Inps già oberata.
«E' tutto ragionevole. Il Tesoro ha scelto la strada che gli americani chiamano dell'helicopter money, una pioggia di soldi. Benissimo. Però conoscendo un po' di storia italiana non era difficile pensare che emergessero abusi».

E cosa si poteva fare?
«Intanto porre un tettodi reddito o patrimoniale ma poi dire subito che, trattandosi di denaro pubblico, sarebbero stati diffusi gli elenchi di chi riscuoteva il bonus. Diciamo che il Tesoro si è fidato dei contribuenti e ha lasciato a quelli facoltosi la decisione di chiedere o meno i 600 euro. Non tutti i facoltosi hanno resistito alla tentazione. Deputati a parte leggo di 353 notai che hanno domanda il bonus. Ci sarà anche il notaio in difficoltà ma la sensazione è che qualcuno abbia chiesto denaro pubblico pur potendo farne a meno più o meno tranquillamente»

Questo scandalo arriva a poche settimane dal referendum sul taglio dei parlamentari.
«Intanto vorrei dire che non bisogna giudicare tutti allo stesso modo. Un lavoratore autonomo che fa il consigliere comunale a 50 euro di gettone al giorno ha tutto il diritto di ottenere il bonus se la sua professione va male».

E dunque?
«Dunque questo caso fa emergere la necessità di una legge elettorale che aiuti l'elettore a selezionare politici in base al merito e non alla cordata di appartenenza. Secondo: serve una legge che disciplini la vita interna dei partiti e la renda democratica, altrimenti rischiamo sempre che qualcuno mandi dei mostri a Montecitorio».
 
Ultimo aggiornamento: Martedì 11 Agosto 2020, 08:10
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