Manovra, rinviato il taglio alle tasse. Fioramonti deluso: «Che resto a fare?»

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di Simone Canettieri
«Toh, chi si vede». Alle 16, nel bel mezzo del voto sulla manovra, alla buvette della Camera spunta il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Un’apparizione, tra mandorle salate e Campari. È qui per votare? Ma a favore o contro? Sarà il suo ultimo atto prima dell’addio? D’altronde ormai è un oggetto misterioso da settimane. Un marziano. Tormentato. Premessa: lo scorso settembre annunciò - con una doppia intervista il giorno del giuramento al Colle - di lasciare se non ci fossero stati 3 miliardi di euro in manovra. «Il minimo sindacale». Concetto ribadito per settimane e mesi. Bene, calcolatrice alla mano, oggi 23 dicembre, tutti questi soldi non ci sono. Siamo a meno della metà. E quindi: molla?

Altro indizio: alla cena di Natale del governo, la settimana scorsa, ha dato forfait (e si è perso l’exploit alla chitarra di Roberto Gualtieri). Fioramonti, da tempo frequenta sempre meno i consigli dei ministri. Non si è visto in Senato nemmeno per l’approvazione del decreto Scuola, al suo posto è toccato andare alla sottosegretaria Lucia Azzolina. Sempre qualche giorno fa ha marcato visita - come Matteo Salvini alle prese con la recita della figlia - anche al ricevimento al Quirinale. Per non parlare di quando i lunedì Luigi Di Maio convoca la delegazione pentastellata alla Farnesina. Insofferenza crescente. Da tempo.

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Ah, ecco, il ministro. «Cosa ha in testa?». Nemmeno il tempo di chiederglielo che viene subito prelevato da un gruppo di deputati grillini. In sequenza: Paolo Lattanzio, Luigi Gallo, Massimiliano De Toma. A tutti ripete, nascosto dietro le colonne del Transatlantico: «Non ho copertura politica, non ho copertura economica. Cosa resto a fare? Sto riflettendo, ma per me è davvero complicato. Come devo fare?».

Fioramonti, classe ‘77 è cresciuto nella periferia complicata di Roma, Tor Bella Monaca, papà medico e madre insegnante. Una carriera accademica in ascesa, fino a diventare professore ordinario di Economia politica all’Università di Pretoria in Sudafrica, “la prima e unica cattedra Jean Monnet ad personam in Africa”, si leggeva nella scheda pubblicata sul Blog delle Stelle quando nel 2018 Di Maio lo indicò all’inizio come possibile ministro dello Sviluppo economico. Poi alla fine fece il vice del leghista Marco Bussetti al Miur. Ai tempi gialloverdi spesso si sfogava così: «Ma come: io con il mio curriculum faccio il vice di un insegnante di ginnastica diventato provveditore? Che strano posto che è l’Italia...». 

Nel dubbio, i figli e la moglie Janine ora vivono in Germania, dopo una polemica un po’ provinciale sulla scuola internazionale frequentata dai piccoli che sono bilingue. Ma questi sono particolari che arricchiscono le leggende di un personaggio fuori dagli schemi, di sicuro quelli del M5S. Con Di Maio non si prendono. E dallo staff del leader politico ammettono: «Fu una scelta voluta da Fico e D’Incà». A dirla tutta il ministro non si prende nemmeno con il mondo di Davide Casaleggio: «Non si capisce a quale titolo gestisca parte delle nostre risorse e - ha detto un mesetto a fa a Sette - perché si inserisce nella linea politica». 

Nel frattempo Fioramonti è il pezzo pregiato della black-list grillina: nel 2019, da deputato, non ha restituito nemmeno un euro. Dunque dovrebbe dare alla casa madre almeno 24mila euro. Pena: l’espulsione. Dietro di lui si fanno scudo tutti i morosi: «Se non restituisce il ministro perché dobbiamo farlo noi»?
«Cosa ha in testa Lorenzo? Non lo so», taglia corto Federico D’Incà, ministro per i rapporti con il Parlamento, così pacato da nascondere sempre la preoccupazione. Nei giorni scorsi i gruppi parlamentari hanno fatti girare una storia su Fioramonti: il ministro è pronto a dimettersi per uscire dal M5S e formare, con altri dieci deputati, un gruppo autonomo che sostenga il governo. Una scissione che, dal punto di vista logico, è abbastanza arzigogolata: si è mai visto un ministro che si dimette in polemica con il premier e che esce dal partito che lo ha nominato per fondare un gruppo che sostenga il premier con cui è in polemica? Se salta è pronto a sostituirlo Nicola Morra, presidente dell’Antimafia. Il ministro parla solo su Facebook: ieri sera è intervenuto per dire la parola fine sulla storia della prof sospesa perché i suoi studenti avevano legato il decreto sicurezza alle leggi razziali. Prove di retromarcia?
 
Ultimo aggiornamento: Martedì 24 Dicembre 2019, 12:52
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