Governo, dopo Draghi la strada stretta del Colle: «Non ci sono altri nomi». L'ipotesi del voto il 2 ottobre

Per il Quirinale non ci sono altre maggioranze: o Mario Draghi o il ritorno alle urne

La strada stretta del Colle: «Non ci sono altri nomi». L'ipotesi del voto il 2 ottobre

di Francesco Malfetano

«Le possibili alternative sono esaurite». Per il Colle non ci sono altre maggioranze: o Mario Draghi o il ritorno alle urne. L'idea che a palazzo Chigi possa arrivare un nuovo inquilino di alto profilo per traghettare l'esecutivo fino alla fine legislatura semplicemente non appartiene al Quirinale. Sia che si tratti del presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato - ipotesi circolata già prima del voto di fiducia - sia di qualunque altro nome autorevole.

Una posizione che durante i due colloqui avuti ieri Sergio Mattarella avrebbe chiarito anche al diretto interessato. Evitando però con il consueto garbo istituzionale di fare pressioni sul premier. L'attesa moral suasion del Capo dello Stato non trova particolari riscontri né tra i fedelissimi di Draghi né al Colle. Anzi, la lettura secondo cui il ritorno alle Camere programmato per mercoledì sia l'estremo tentativo di prendere tempo e concedere ai partiti qualche margine di manovra sul premier viene ritenuta poco plausibile. Le dimissioni non accettate non sono infatti da interpretare come un segnale di qualche tipo, ma come «un preciso dovere democratico e di trasparenza, dovuto al Paese». Una prassi necessaria per consentire a Draghi non solo un passaggio a Montecitorio davanti ai parlamentari riuniti (richiesto dal premier stesso) quanto soprattutto di non presentarsi dimissionario all'importante vertice intergovernativo di Algeri che si terrà lunedì e martedì prossimi e potrebbe essere abbreviato a un solo giorno. «Un amministratore delegato senza deleghe non può firmare contratti» è infatti uno dei ragionamenti.

LA VICINANZA

In altri termini, come spiega la posizione ufficiale del Quirinale: «Si registra una totale identità di vedute». Al punto che, a quanto si apprende da fonti autorevoli, il presidente Mattarella si sarebbe detto «vicino» al premier, comprendendo a fondo le motivazioni della sua decisione.
Un governo di unità nazionale logorato dalle divisioni interne non è in grado di lavorare come dovrebbe. E non solo per la spaccatura maturata sul decreto Aiuti con il Movimento 5 stelle. Ma anche per le continue minacce o pressioni avanzate dalla Lega di Matteo Salvini.
Una situazione più che complessa che però andrebbe sanata nei prossimi 5 giorni per evitare che il Paese vada alle urne in autunno.

La mediazione tentata dal Partito democratico è quasi disperata. Lo scenario è considerato improbabile al punto che iniziano ad avanzare le prime ipotesi concrete di una data per l'apertura dei seggi: il 2 ottobre. E cioè non solo entro i settanta giorni previsti dallo scioglimento delle Camere, quanto soprattutto abbastanza presto rispetto alla fine dell'anno per consentire al nuovo governo in carica di redigere in tempo la legge finanziaria (senza incappare nel temuto esercizio provvisorio).

 

Ultimo aggiornamento: Venerdì 15 Luglio 2022, 06:12
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