Elezioni regionali 2020, il “voto utile” aiuta la sinistra così è tornato il bipolarismo

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di Giovanni Diamanti
Sono le aspettative a determinare la percezione dell’esito delle elezioni: il centrodestra era il grande favorito di queste regionali e ambiva a un 5 a 1 finale che avrebbe avuto il sapore del trionfo. Il 3 a 3 che si è delineato nel corso di questo lunedì pomeriggio, invece, è nei fatti un pareggio per il quale sorride soprattutto il centrosinistra.

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A conti fatti, l’unica regione a cambiare colore sono le Marche: una regione piccola, ma significativa, dove il centrodestra non aveva mai vinto in tanti anni. Tuttavia, già un anno fa nelle Marche il vantaggio del centrodestra alle Europee toccò i venti punti percentuali: l’inversione di tendenza nel clima d’opinione marchigiano non è una novità dell’ultimo giorno. 

Tutte le regioni-simbolo di questa elezione, quelle considerate in bilico, ovvero Puglia e Toscana, non solo hanno riconfermato il centrosinistra, ma l‘hanno fatto con proporzioni superiori al previsto. Abbiamo assistito a una dinamica simile a quella osservata in Emilia-Romagna, a inizio anno: un grande recupero del centrodestra nei sondaggi in alcune roccaforti democratiche, un clima da “testa a testa” respirato negli ultimi giorni di campagna elettorale, e infine una conseguente mobilitazione del centrosinistra, che in queste regioni ha approfittato anche del voto utile. La tecnica della chiamata a raccolta delle proprie truppe per non perdere una regione-simbolo anche questa volta ha funzionato. Salvini si è giocato tutto in questa regione ma questa strategia, alla fine, ha provocato un effetto-boomerang, favorendo la mobilitazione del centrosinistra.

Oltre alla resistenza del fortino toscano, si può intravvedere, nell’analisi del voto più approfondita, una tendenza territoriale di fondo. Il Nord certifica il trionfo dei governatori del centrodestra: Toti supera nettamente il 50% dei voti in Liguria, Zaia supera probabilmente ogni record di elezione di un Presidente di regione nella storia repubblicana, ricevendo i consensi di tre veneti su quattro, e raggiungendo un grande successo con la propria lista personale. La loro vittoria evidenzia una volta di più l’emergere di una “questione settentrionale”: il centrosinistra non è competitivo nel Nord del Paese. Nemmeno insieme ai 5 Stelle: l’alleanza giallorossa, laboratorio in campo solamente in Liguria, va peggio delle previsioni, e dopo l’insuccesso umbro rimedia un’altra sconfitta pesante. Non solo il distacco tra centrosinistra e centrodestra aumenta rispetto a cinque anni fa, ma si estende anche nel confronto con le Europee, quando la somma tra Pd e alleati da un lato e i 5 Stelle dall’altro si avvicinava all’alleanza di centrodestra. Se non è la pietra tombale su un’alleanza elettorale, è comunque un insuccesso che riaprirà il dibattito interno ai due partiti.

Nel Sud, invece, il centrosinistra vince affidandosi ai suoi amministratori: Vincenzo De Luca ha triplicato i voti di Stefano Caldoro nella terza riedizione del loro confronto, dopo il 2010 e il 2015, mentre in Puglia Michele Emiliano si esibisce in una prova muscolare notevole, ribaltando una sfida che sulla carta vedeva il centrodestra molto avanti. Queste vittorie sono un successo importante per il Partito Democratico, ma il traino sono proprio i due governatori. La vittoria del centrosinistra al Sud è significativa perché proprio il Mezzogiorno era stato in questi anni la roccaforte dei 5 Stelle, i quali sono stati prosciugati sia da De Luca sia da Emiliano: il grande risultato dei due governatori è dovuto a un consenso trasversale, tra 5 Stelle e centrodestra. Questa doppietta del centrosinistra in Puglia e Campania sancisce inoltre un’importante battuta d’arresto al progetto di espansione di Salvini della Lega verso un “partito nazionale”: non solo i candidati di centrodestra perdono, ma le liste della Lega non sfondano.

Complessivamente, al di là di questa frattura territoriale tra un Nord ancorato al centrodestra e un Sud che torna a guardare al centrosinistra, a unire il Paese è la fiducia verso i governatori uscenti. Da anni le analisi elettorali evidenziano come i sindaci e i presidenti uscenti non godano più del vantaggio competitivo che fino a dieci anni fa potevano esibire: i tassi di ricandidatura e di rielezione si sono molto abbassati. In queste elezioni regionali, invece, i governatori uscenti si prendono la loro rivincita. Zaia, De Luca, Toti, Emiliano: tutti gli uscenti rivincono le elezioni, alcuni dei quali con plebisciti storici. È un consenso che deriva dall’onda lunga della gestione della crisi pandemica, e i Presidenti di regione hanno approfittato di un trend d’opinione solidale e fiducioso verso le istituzioni.

Il pareggio sorride più al centrosinistra che al centrodestra, ma sicuramente colpisce i 5 Stelle, che ancora una volta escono dal voto regionale con pessime performance elettorali sia nella versione “pura”, con i propri portabandiera, sia nella versione “governista”, alleati con il Pd. La netta vittoria nel referendum è per Di Maio una battaglia simbolica, ma i risultati del voto nelle regioni parlano sempre più di un bipolarismo tra i due poli tradizionali.
 
Ultimo aggiornamento: Martedì 22 Settembre 2020, 12:33
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