Non stiamo affatto litigando, siamo motivati dall'obiettivo preciso che ci accomuna, fare l'interesse degli italiani». Vertici a parte, al centro della giornata c'è il decreto sicurezza. Il vicepremier leghista giunge a Palazzo Madama, appena atterrato dal Ghana, probabilmente convinto di poter festeggiare il voto definitivo sul decreto a lui più caro, quello che prevede una stretta significativa sui migranti. Nel corso della giornata aveva previsto per ben due volte il via libera entro oggi. Ma le cose non vanno così: lo scontro d'Aula, le proteste delle opposizioni, i ritardi della bollinatura del maxiemendamento, e chissà, forse anche le polemiche sulla prescrizione, fanno sì che il voto finale, arriverà solo domani mattina. Ma Salvini festeggia lo stesso: «Con questo decreto si sarà più seri, più europei, più rigorosi e selettivi, per me è motivo di vanto». Per tutta la giornata Nicola Molteni, sottosegretario all'Interno e braccio destro del ministro, segue con attenzione il complicato iter del provvedimento.
Da giorni si parlava di fiducia, ma solo oggi il governo annuncia, tra le fortissime reazioni delle opposizioni, il ricorso a questo strumento parlamentare che di fatto toglie al Parlamento la possibilità di votare gli emendamenti. Durissimo il Pd che protesta contro il fatto che manchi un riferimento certo rispetto al Consiglio dei Ministri che ha autorizzato questa fiducia. «Abbiamo chiesto per ben due volte al ministro Riccardo Fraccaro - attacca il capogruppo dem, Andrea Marcucci - quale Consiglio dei ministri, dove e in quale ora, ha autorizzato la decisione di porre la fiducia. Ci ha detto che non era tenuto a dirlo: ormai siamo al Consiglio dei ministri fantasma». Secca la replica del presidente dei senatori 5S, Stefano Patuanelli, che ricorda come quel via libera sia «un atto endogovernativo». «Non avendo argomenti - incalza l'esponente pentastellato - il Pd si copre di ridicolo. È il segno di una opposizione ridotta in condizioni pietose».
Fortemente critici anche i senatori di Forza Italia che annunciano per domattina una forma inedita di protesta: al momento del voto nominale, passando sotto il banco della Presidenza reciteranno questa formula: «Sono presente ma non voto».
I senatori azzurri vogliono così evidenziare il loro dissenso al governo, ma non al decreto che avrebbero approvato, se non ci fosse stata la fiducia. Scontata l'uscita dall'emiciclo dei quattro 5S 'ribellì. Astensione, infine, anche per i senatori di Fratelli d'Italia, anche loro, come i forzisti, inizialmente disponibili a votare il provvedimento, ma mai la fiducia al governo.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 7 Novembre 2018, 07:34
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