Crisi di governo, Pd a Conte: ora devi allargare o così non andiamo avanti. La conta fa paura

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di Marco Conti

I numeri per superare lo scoglio del voto di oggi a palazzo Madama ci sono, ma ancora mancano quelli che permettano a Giuseppe Conte di poter sperare di governare. Il Pd di Nicola Zingaretti è in tensione e ieri il leader, riunendo il gruppo al Senato, ha parlato di «numeri angusti» che possono rendere più complicata l’azione di rilancio poco prima illustrata dal premier Conte nel discorso alla Camera. Dopo aver incassato la maggioranza assoluta a Montecitorio, ora la sfida si sposta in serata a Palazzo Madama dove non è decollata la campagna acquisti.

In un vorticoso intreccio di telefonate è toccato a Goffredo Bettini avvisare Palazzo Chigi che la costruzione della quarta gamba dell’alleanza, che dovrebbe sostituire quella di Iv, dovrà avere tempi stretti in modo da procedere rapidamente ad un rimpasto e al varo del Conte-ter. Magari anche senza un nuovo passaggio parlamentare, visto che non ci sono state dimissioni o sfiducia. Ma Bettini ha anche spiegato che senza un gruppo in grado di superare la consistenza dei supporter di Renzi, Conte dovrà andare al Quirinale per dimettersi. L’operazione “responsabili” ha quindi bisogno, per poter decollare, che la conta di questa sera al Senato termini con uno scarto il più ampio possibile tra i voti della maggioranza e quelli dell’opposizione. Per ora l’asticella per Conte è ferma a 152 ai quali potrebbero aggiungersi un paio di voti dell’ultimo minuto, ma c’è il rischio che, malgrado l’astensione di Iv, l’opposizione arrivi a 142-145. Ciò lascerebbe non solo a Renzi un peso non indifferente, ma renderebbe la campagna per acquisire “responsabili” particolarmente costosa per l’alto numero di senatori che si dovrebbero portare in maggioranza e che potrebbero costringere Conte a varare un governo nuovo di zecca con tanto di dimissioni e nuovo voto di fiducia. Uno scenario che al Nazareno piace molto poco perché significherebbe dare ragione a Iv, anche se lascia a palazzo Chigi, come unica merce di scambio, solo le tre deleghe mollate dai renziani.

Aver superato lo scoglio di Montecitorio con una maggioranza assoluta galvanizza i leader di Pd e M5S.

Gioisce Dario Franceschini, particolarmente attivo in questi giorni di trattative e mediazioni, per il successo di Montecitorio e lo stesso fa Zingaretti che continua a tenere il partito incollato a Conte vedendo come alternativa solo le urne anticipate. Senza però l’obiettivo della maggioranza assoluta (161), i potenziali “responsabili” stanno alla finestra. Aspettano il voto di oggi, pronti a far pesare ancor più il loro voto. Al netto del passaggio di Renata Polverini (FI), il centrodestra si muove in maniera compatta con un Matteo Salvini che organizza tre riunioni al giorno per tenere il fronte unito nell’obiettivo di far cadere Conte. Poi si vedrà.

Gli “acquisti” di senatori rischiano quindi di dover avvenire in ordine sparso perché non si palesa un gruppo già organizzato e pronto ad entrare in maggioranza. D’altra parte lo spauracchio delle elezioni a breve non sembra spaventare nessuno e lo scambio tra voto e prosieguo della legislatura ha perso - “grazie” anche all’emergenza sanitaria - molto del suo fascino.

Ieri sera Matteo Renzi, parlando al Tg2, ha definito «raccogliticcia» la nuova maggioranza riferendosi anche alle difficoltà che potrebbe incontrare il governo nei lavori parlamentari. E’ per questo che il pressing sui senatori di Iv, già forte in questi giorni, è destinato a diventare pesantissimo già da questa sera. L’obiettivo di Conte è di arrivare a comporre un gruppo con spezzoni di Iv, di FI e dell’Udc. Un puzzle complicato soprattutto se stasera lo scarto sarà sotto le dieci unità tra i voti di Pd, M5S e Leu e quelli di tutto il centrodestra. 

Il “costo” della complessa operazione inizia però ad agitare anche i Cinquestelle. Ieri Conte nel suo discorso ha dovuto cedere su molte richieste che i dem hanno sempre avanzato insieme ad Iv, e concedere argomenti in grado di attirare spezzoni centristi. Dalla delega ai Servizi, sino alla legge elettorale proporzionale, comprese le odiate preferenze, passando per il “Recovery Plan” «aperto al contributo delle opposizioni» specie se vorranno farsi maggioranza. Senza contare quel «io farò la mia parte», riferito alla necessità di comporre quel gruppo di «volenterosi ed europeisti», che ripropone il tema della nascita del partito di Conte che Bruno Tabacci auspica e che Pd e M5S molto poco gradiscono.
Rendere irrilevante i diciotto senatori di Iv resta l’obiettivo di Conte, ma il costo potrebbe rivelarsi a breve particolarmente oneroso per il Pd e per il M5S e non compensato dall’eventuale sconfitta di Renzi.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 19 Gennaio 2021, 09:48
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