Scontro sul condono, sospetti M5S: «Mef agli ordini del Carroccio». Lega in trincea

Scontro Di Maio-Lega

di Simone Canettieri
«La manina è quella dei tecnici del Mef, sempre loro, ma è stata retta dalla Lega». Quando ormai il caso è deflagrato e Luigi Di Maio è andato a Porta a Porta a sventolare l'articolo nove del decreto fiscale che non gli torna e «che non voterà» gli animal spirits del M5S si scatenano. E allora da Palazzo Chigi, sponda grillina, arrivano mezze accuse sussurrate, ma pesanti e dritte agli alleati di governo. Gli uomini di Di Maio definiscono «indigeribili» lo scudo fiscale, il rientro dei capitali e la depenalizzazione di reati come il riciclaggio. «Se devo votare questa porcata - si sfoga il vicepremier pentastellato prima di andare nel salotto di Vespa per lo show down - allora andiamo a casa».

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Per un pomeriggio si interrompono in maniera brusca anche i collegamenti tra i leader dei due partiti. Appena escono le prime agenzie stampa con le accuse gravi e un po' vaghe di Di Maio, Matteo Salvini è in Russia. E impiega più di un'ora per ribadire che «noi siamo gente seria» e che quindi «non sappiamo nulla di decreti truccati». I due non si sentono al telefono. Anche i rispettivi sherpa faticano. E dalla Lega non escono più dichiarazioni. I generali di Salvini indossano l'elmetto. Sottosegretari e viceministri del Carroccio rimandano le spiegazioni a Massimo Bitonci, il sottosegretario leghista esperto in materia di condoni. «Ora provo a chiamarlo per capire meglio», dicono i suoi colleghi. Il sospetto cinge la maggioranza. Cade il governo?

«Luigi e Matteo - racconta nelle ore concitate chi li frequenta al piano nobile di Palazzo Chigi - hanno un patto di ferro fino alle Europee». E dunque, passerà? Anche se gli attori in campo questa volta sono tanti e il gioco dei non detti rischia di creare un cortocircuito ancora più grande. Da una parte c'è il Quirinale, tirato in ballo in un primo momento, salvo poi la smentita del Colle: «Non abbiamo ricevuto alcun decreto». Poi c'è la Procura di Roma, dove dovrebbe arrivare questa denuncia, anche se poi è molto difficile che ciò avvenga. Sicché ufficialmente non rimane che prendersela di nuovo con il ministero dell'Economia. Ma non con Giovanni Tria. Bensì con i tecnici che lo circondano, dal capo della ragioneria Daniele Franco a scendere.
Chi frequenta via XX Settembre allarga le braccia: «Notoriamente siamo contro i condoni». E dunque si ritorna, in questo gioco dell'oca di sospetti, al punto iniziale: è stata una forzatura della Lega.
 


LA RIUNIONE NOTTURNA
Il caso è scoppiato nelle segrete stanze del governo ieri l'altro. Solita sessione serale della cabina di regia sulla manovra. Seduti intorno a un tavolo il premier Giuseppe Conte, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, il ministro Tria, i vice Garavaglia e Castelli e Luigi Di Maio. La bozza del 16 ottobre, quella incriminata, cade davanti agli occhi di tutti quando l'attenzione si ferma sull'articolo 9. «Chi ha fatto inserire queste norme?», sbotta Di Maio. E come in una scena di Ionesco tutti a turno (da Tria ai vice) dicono con tono sospeso: «Io no, perché?». Imbarazzo generale, cabina di regia sconvocata. Di Maio fa passare una notte e intanto medita con la comunicazione come far scoppiare il caso senza far implodere il governo. Cercando allo stesso tempo di uscire con un pareggio da questo «blitz della Lega». Di prima mattina Francesco D'Uva, capogruppo alla Camera del M5S, torna ad attaccare il Mef sulla vicenda dei fondi alla Croce Rossa. Sembra una sortita casuale, ma è l'avvisaglia della battaglia che scoppierà in serata. Ufficialmente la colpa è del Mef, dicono i grillini, a cui addebitano manine e manone, complotti notturni e forzature che difficilmente i tecnici farebbero. Ma essendo un nemico difficile da palpare l'accusa è verosimile.

Per il governo la giornata è molto complicata, perché mentre il M5S si prepara alla battaglia, la Lega va in affanno sul decreto sicurezza al Senato (per le coperture), dove i grillini si sono messi di traverso. In mezzo c'è il premier Giuseppe Conte che doveva presentarsi ai leader europei «con la manovra del popolo» da sostenere e sponsorizzare e adesso si trova a dover spiegare con il suo inglese perfetto che ci sono «problemi». I vertici della Lega tacciano per tutta la serata sono in trincea. C'è irritazione per le accuse liftate che arrivano fino a Mosca, ma soprattutto per alcuni provvedimenti che sarebbero stati graditi al Nord. Il finale è da scrivere. «Ma non sarà cruento», assicurano i vertici del M5S. Che però ammettono: «Aspettiamoci la reazione di Salvini: ora vorrà portare a casa un altro risultato».
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 18 Ottobre 2018, 14:24
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