Carcere agli evasori, è scontro: norme fuori dal decreto fiscale

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di Alberto Gentili
ROMA Nessuno, né tantomeno Nicola Zingaretti e Dario Franceschini, vuole apparire per quello che difende gli evasori. Anzi. Ma a quarantott'ore del varo del decreto fiscale previsto per lunedì il Pd, giocando di sponda con Leu e perfino con Matteo Renzi per una volta d'accordo con gli ex compagni di partito, stoppa il giro di vite voluto dal Guardasigilli 5Stelle, Alfonso Bonafede, e benedetto dal premier Giuseppe Conte. Tutto rinviato: l'inasprimento delle pene e il carcere per chi non paga le tasse o cerca di imbrogliare l'Agenzia delle entrate, verranno discussi «in un vertice politico ai massimi livelli». E finiranno, riveduti e corretti, in un provvedimento ad hoc. Probabilmente una legge delega.

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Sono ore agitate per la maggioranza giallorosé. D'improvviso gli alleati, già alle prese con l'arduo compito di rastrellare risorse con cui finanziare il taglio del cuneo fiscale e qualche aiuto alle famiglie, scoprono di essere distanti sul tema più a cuore a Conte e ai 5Stelle: il giro di vite per combattere l'evasione fiscale.
Tutto comincia di buon mattino, quando Conte riceve a palazzo Chigi il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. All'esponente dem, che martedì in un'audizione alla Camera aveva escluso che fossero allo studio le «manette agli evasori» ritenendo che bastasse utilizzare al meglio «le tecnologie esistenti», il premier chiede «più coraggio»: «Bisogna fare il massimo per contrastare l'evasione fiscale e bisogna farlo fino in fondo...». Fino a inasprire le pene, come proposto in alcuni articoli di legge scritti «personalmente» da Bonafede, per essere inseriti nel decreto fiscale.

IL MURO DI GOMMA
Gualtieri a Conte non risponde né di sì, né di no. Si limita a far presente al premier che al ministero dell'Economia si occupano di prevenzione, di ostacolo all'evasione e di smontare i meccanismi sfruttati dagli evasori. E che dunque la materia penale non è di sua competenza. Lo è invece del grillino Bonafede che, sostenuto da Luigi Di Maio, giovedì sera aveva fatto trapelare un inasprimento delle pene per i reati fiscali fino 8 anni di carcere, in modo da poter utilizzare anche le intercettazioni. Più la confisca dei beni e un abbassamento da 150 mila a 50 mila euro della soglia per omesso versamento di «ritenute dovute o certificate» (tasse e Iva) e da 250 mila a 100 mila euro per le dichiarazioni infedeli. Il tutto, secondo il Guardasigilli e Conte, da inserire del decreto fiscale.

Il primo a storcere pubblicamente il naso di fronte al giustizialismo economico dei 5Stelle è stato il viceministro dem all'Economia, Antonio Misiani: «C'è una valutazione in corso. Il carcere per gli evasori è già previsto e ora c'è una proposta per inasprire le pene per le fattispecie più gravi. Vedremo...». Sulla stessa linea l'economista di Italia viva, Luigi Marattin: «In principio non sono contrario all'aumento delle pene per gli evasori, ma sono contrario agli slogan. La vera sfida, visto che in carcere non c'è alcun grande evasore, è fare processi in fretta».

TUTTO RINVIATO
La diplomazia entra in azione. Il Pd riesce, attraverso il vicesegretario ed ex Guardasigilli Andrea Orlando, a stoppare l'inserimento delle norme nel decreto fiscale. Le somme le tira, a sera, il segretario Nicola Zingaretti: «E' stato deciso di rimandare a un provvedimento ad hoc sulla lotta all'evasione. Penso che il carcere sia giusto, altrimenti sarebbe la solita cosa: fatta la legge, trovato l'inganno». Ma l'inasprimento delle pene «va inserito dentro una strategia che comprenda digitalizzazione e controlli, per colpire chi ruba ai cittadini 100 miliardi di euro» di tasse dovute, ma non pagate.
 
Ultimo aggiornamento: Sabato 12 Ottobre 2019, 09:31
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