Armi, lite sulla risoluzione: oggi Draghi alla prova del Senato. Zelensky: «Italia ci aiuti»

Oggi comunicazioni di Draghi al Senato. Il presidente ucraino chiede più sostegno

Armi, lite sulla risoluzione: oggi Draghi alla prova del Senato

di Francesco Malfetano

«Per favore, sosteneteci». Volodymyr Zelensky piomba di nuovo nel caos politico italiano. E lo fa nel modo più diretto possibile rispondendo in collegamento al Global Policy Forum di Ispi a una domanda sulla risoluzione che il Senato dovrà votare oggi sul sostegno dell’Italia all’Ucraina: «Voglio dire che voi state supportando non l’avanzata delle forze ucraine, ma la capacità di difesa del nostro esercito». 

Parole che, sono convinti a palazzo Chigi, non resteranno inascoltate. Anche perché lo stesso Mario Draghi, nel discorso che terrà oggi pomeriggio a Palazzo Madama in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, si muoverà nel medesimo solco. Oltre a ribadire ancora il sostegno italiano a Kiev e il posizionamento atlantista del Paese, il premier proverà a rendere partecipe l’Aula delle emozioni provate durante il viaggio della scorsa settimana nella capitale Ucraina. L’obiettivo è persuadere più eletti possibile e - accantonando il terremoto interno al M5s - compattare il Parlamento. L’ottimismo in tal senso non manca ma la diffidenza nei confronti di Giuseppe Conte non è scemata. Anzi, i dubbi su quel che intenda realmente fare il Movimento restano sul tavolo. Specie perché il tentativo di mediazione sulla risoluzione fatto oggi, si è impantanato in un cumulo di distinguo.

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LA NOTA

Andiamo però con ordine. Nel primo pomeriggio i cinquestelle pubblicano la nota finale del Consiglio nazionale tenuto domenica notte. Un testo in cui i vertici grillini sembrano intenzionati a tenere la posizione assunta fino a questo momento. Deliberando quindi «di ritenere opportuno» che l’Italia, dopo avere già inviato varie forniture di armamenti, «concentri adesso i suoi sforzi sul piano diplomatico». E ancora «di considerare non sufficiente il vaglio parlamentare» effettuato per il “decreto Ucraina” (quello che ha acconsentito con il benestare di tutta la maggioranza all’invio di armi fino alla fine del 2022), e quindi richiede «un confronto in Parlamento tra le varie forze politiche» per pervenire a un nuovo atto di indirizzo dell’Aula.

Posizioni, queste, rimarcate dalla capogruppo pentastellata Mariolina Castellone durante il lungo vertice di maggioranza iniziato quasi in contemporanea con la pubblicazione della nota.

Un tavolo attorno al quale i capigruppo delle commissioni Esteri e Politiche Ue, assieme ai ministri Enzo Amendola e Federico D’Incà, hanno cercato una formulazione, «limando i dettagli», che tenesse unita la maggioranza. O meglio, come spiega meno diplomaticamente uno dei presenti: «Trovando il modo di salvargli la faccia senza sottoporre a ulteriori scossoni l’esecutivo».

Palazzo Chigi del resto, aveva lasciato trapelare la propria disponibilità a mediare ma solo mantenendo alcuni paletti. In primo luogo la bozza del “no” alle armi circolata nei giorni scorsi (e poi disconosciuta dal M5s) era e resta «un’assurdità». Allo stesso modo lo sono tutte le soluzioni che prevedono un allontanamento italiano dalla linea atlantista e della Ue, un «commissariamento» sulla politica estera del governo in una fase così delicata o, per l’approvazione finale del testo, un appoggio esterno all’esecutivo. 

LE PROPOSTE

Così, per uscire dal cul de sac in cui i cinquestelle hanno infilato la risoluzione, il governo propone quindi di rifarsi al primo decreto Ucraina. Cioè replicare un «atto di indirizzo» delle Camere - a marzo approvato a larghissima maggioranza, 5S compresi - a cui far seguire i decreti ministeriali per le forniture militari a Kiev. Non solo. Sul tavolo Amendola e D’Incà portano anche l’impegno dei ministri della Difesa e degli Esteri a riferire ogni tre mesi sull’evoluzione della situazione, sintetizzando il tutto nella dicitura: «coinvolgere il Parlamento secondo le procedure» previste dal decreto. 

Un punto di caduta che però il Movimento, con l’appoggio di Leu, rifiuta. I due partiti chiedono di andare oltre. La richiesta è quindi di «coinvolgere il Parlamento, ferme restando» le procedure già previste fin qui. Attorno a queste formulazioni il dibattito si impantana. I dem Alessandro Alfieri e Piero De Luca tentano invano di mediare. Lo stesso il capogruppo di Leu Federico Fornaro. E così a sera, dopo più di sei ore di vertice, ancora non c’è traccia di una formula giusta. Le trattative però proseguono. Ci si riproverà stamattina. C’è tempo fino alle 15.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 21 Giugno 2022, 11:30
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