James Blunt: «Che meraviglia cantare a Roma per i campioni. I Maneskin? Fantastici»

Blunt: «Che meraviglia cantare a Roma per i campioni. I Maneskin? Fantastici»

di Mattia Marzi

Il coraggio, la forza della risalita, il sacrificio. Se la carriera di un artista è una maratona, quella di James Blunt è una corsa sulla lunga distanza. Basata su una resistenza prima di tutto psicologica. Un disco ogni tre-quattro anni, contro l'ingordigia del mercato. E scelte sempre coerenti: mai un singolo un po' più commerciale o furbo pensato per avere in cambio qualche Disco d'oro o di platino. Di lui, ex ufficiale dell'esercito britannico spedito pure a combattere in Kosovo alla fine degli Anni 90 (tra esplosioni e scontri a fuoco scrisse No Bravery, incisa per l'album d'esordio Back to Bedlam del 2004), dicono che sia un grande lavoratore, particolarmente dedito al suo lavoro. Un modello, non solo per i colleghi. E forse non è un caso che il 47enne cantautore britannico sia nel cast dello show-evento The Unbreakable, legato alla partenza delle Olimpiadi di Tokyo, che andrà in onda questa sera su Rai1 dallo Stadio dei Marmi, a Roma, subito dopo il tg delle 20 (in replica venerdì su Rai2 in testa alla cerimonia di apertura, oltre che su RaiPlay). A condurre c'è Eleonora Abbagnato.

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Cosa farà?
«Accompagnerò con le mie canzoni le storie di grandi atleti come Bebe Vio, Arianna Fontana, Clemente Russo, Vanessa Ferrari e Francesca Piccinini: campioni nella vita, prima che nello sport».
Oltremanica avete digerito la sconfitta alla finale degli Europei, in casa, contro gli Azzurri di Roberto Mancini?
«Stiamo mandando giù il boccone, che è stato amaro. Al di là di tutto è stato un match fantastico, una sfida combattuta fino all'ultimo. Peccato per quello che è successo dopo la finale».


Si riferisce agli insulti razzisti rivolti ai tre giocatori inglesi che hanno sbagliato i rigori?
«Già. Sono stati vergognosi. Piuttosto, avremmo dovuto ringraziarli per il coraggio che hanno avuto presentandosi al dischetto. Non è facile gestire la tensione e il nervosismo in quelle circostanze. Comunque complimenti all'Italia: state vincendo ovunque, nelle competizioni internazionali».

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Allude anche all'Eurovision?
«Non l'ho visto, onestamente. Ma dei Maneskin si sta parlando parecchio».


Nel Regno Unito hanno vinto il Disco d'argento per il singolo I Wanna Be Your Slave: le piacciono?
«Li trovo fantastici, splendidi, molto interessanti».


Dovranno essere bravi a gestire il successo arrivato tutto insieme. Lei ne sa qualcosa: nel 2005 You're Beautiful fu una hit mondiale, arrivata dal nulla. Fu una botta di fortuna?
«Anche.

Dietro però c'era un lavoro fatto di contatti e giuste conoscenze. Dal manager di Elton John una mia musicassetta arrivò alle orecchie di Linda Perry, che mi mise sotto contratto. Lasciai l'esercito solo quando capii che effettivamente le cose si stavano concretizzando».

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Mai pensato di passare alla storia della musica come una meteora?
«Non ne avrei fatto un dramma. Avrei continuato a fare musica, senza essere un frustrato. Il successo di quella canzone andò ogni oltre aspettativa. Ancora oggi c'è chi mi continua ad identificare con You're Beautiful, anche se dopo non sono mancati altri successi, da Goodbye My Lover a Bonfire Heart: non mi dà fastidio, è diventata un classico. Nei momenti di difficoltà c'è chi la interpreta come un manifesto di autoaccettazione per ritrovare il benessere psicologico».


Il suo amico Ed Sheeran ha raccontato che a causa delle pressioni finì a bere e a drogarsi. È stata la disciplina dell'ex militare a preservarla dal lato oscuro del successo?
«Forse è così. Ma c'è da dire anche che io ero molto più vecchio rispetto a Ed: avevo 30 anni e le spalle sufficientemente larghe. Il successo lo ignorai. E mentre Back to Bedlam, il disco d'esordio, scalava le classifiche in tutto il mondo (11 milioni di copie vendute in tre anni) e vinceva premi (2 Brit Awards, 5 nomination ai Grammy Awards), io continuavo ad essere il James di sempre, circondato dalla famiglia e dagli amici. Solo così ti puoi salvare: altrimenti finisci per essere travolto. Un consiglio che do ai ragazzi di nuova generazione è proprio questo: non dimenticate mai da dove venite, le vostre radici».


Il duetto con Laura Pausini su Primavera in anticipo, nel 2009, contribuì al suo successo in Italia?
«Fece la sua parte. Lei con quel disco vinse il suo terzo Latin Grammy. Da allora non ho mai smesso di coltivare il legame con il pubblico italiano. Da voi mi sento praticamente a casa. Quelle dei palasport e dei teatri italiani sono tra le migliori platee di fronte alle quali ho avuto modo di esibirmi».


Tornerà in concerto il prossimo anno al Forum di Milano (21 marzo), alla Kioene Arena di Padova (22 marzo) e all'Anfiteatro del Vittoriale di Gardone Riviera (27 giugno): novità?
«Durante il lockdown ho scritto un paio di canzoni nuove. E a novembre uscirà una raccolta. C'è già il titolo: The Stars Beneath My Feet».

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Ultimo aggiornamento: Venerdì 23 Luglio 2021, 06:29
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