Solo ieri 3.817 nuovi casi. Ospedali sotto pressione, con terapie intensive quasi sature. E numeri da brividi per quanto riguarda anche i morti, che si aggirano sui 150 al giorno. Tanto che all'obitorio di Montebelluna le salme non ci stavano più e le hanno spostate in un paesino della zona. Il Veneto, da regione più virtuosa della prima ondata, è passato a maglia nera della seconda. «Siamo noi la nuova Lombardia», dicono i pessimisti.
Per le vittime si tratta di un picco, che potrebbe anche aver risentito dell'effetto sommatoria del fine settimana ma che lo stesso governatore Luca Zaia non esista a definire «pesante»: «Sì, situazione pesante, con più di tremila ricoverati. È come se quasi sette ospedali grandi di provincia fossero orientati Covid. Evidentemente non abbiamo più paura di morire». Anche se lo stesso Zaia tiene a segnalare una disponibilità di ancora oltre 4.000 posti letto negli ospedali della regione.
Così ora è lo stesso governatore, che prima auspicava le riaperture, a chiedere la zona rossa fino al 6 gennaio. «Ho posto al governo la questione dell'adozione di misure come Veneto - ha spiegato Zaia - spiegando che abbiamo la necessità di capire se si chiude la partita a livello nazionale, altrimenti le adottiamo direttamente, visto che il week end si avvicina».
E sul Veneto in crisi si allunga l'ombra del professor Crisanti, il virologo che varò la macchina perfetta dei tamponi nella prima ondata e che, dopo la rottura con Zaia, ha rivendicato i meriti personali e dell'università di Padova in quella operazione.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 17 Dicembre 2020, 08:30
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