Vincenzo Paparelli, con lui morì anche il mio sogno

Vincenzo Paparelli, con lui morì anche il mio sogno

di Claudio Fabretti
Quel giorno di ottobre allo stadio non si respirava. E non solo per quel cielo ch'era una cappa di piombo. A 12 anni, con lo zio tifoso laziale che mi accompagnava ogni domenica, salii i gradini della Tribuna Montemario incrociando tifosi dall'aria stravolta. Un silenzio irreale. Avevano appena sparato un razzo dalla curva Sud alla Nord, colpendo Vincenzo Paparelli.

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«Andiamo via», continuava a ripetermi lo zio. «Ma no, restiamo, vediamo la partita», mi ostinai a resistere con l'incoscienza dei miei anni. Ma la mia partita, il derby, non c'era più. Al suo posto andò in scena una recita mesta, spettrale, preconfezionata. Un pari d'ordine pubblico. Due gol senza gioia. Ricordo Wilson sotto la Nord, a cercare di placare i ragazzi laziali inferociti, Giordano in versione raccattapalle per riprendersi quel pallone che non aveva più senso calciare. E poi i disordini, i tentativi d'invasione, la polizia in assetto da guerra.
Da romanista, quel giorno scoprii che di tifo ci si poteva vergognare (sempre a patto di voler chiamare tifoso l'autore di quel gesto). E il calcio, ai miei occhi, perse per sempre la sua innocenza. Erano gli anni di piombo, anche allo stadio.

claudio.fabretti@leggo.it
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Marzo 2023, 10:10

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