«Niente è stato più uguale dopo quel concerto del Mostro»

«Ricordo che a un tratto, quando entrò in scena, qualcuno dalla platea si alzò e gli urlò: A mostro!. Ecco, tanto per capirci, Hendrix era così: davvero un mostro, un alieno, qualcosa di mai visto e udito prima». Parola di Roberto D'Agostino che cinquant'anni fa era tra i giovani appassionati che sin dalle prime ore del 25 maggio 1968 affollarono il Brancaccio di Roma per il concerto di Jimi Hendrix.
D'Agostino, perché proprio lui?
«Perché era qualcosa di fulminante, un colosso per noi giovani che eravamo per la prima volta davvero giovani come identità sociale, con la voglia di divertirci, di scopare, di scoprire il mondo in un modo diverso. A vedere i Beatles ci andai con mia zia, ad ascoltare nel '67 gli Stones fu ancora più bello, ma per Hendrix il massimo».
In che senso?
«Per quel suono, quel rumore potentissimo, quella forza che sprigionava dietro a ogni sua canzone capolavoro e con quella chitarra che usava come un fallo. Mai visto prima. E pensare che ad aprire il concerto ci fu persino un corpo di ballo! Per dire, quando entrò in scena, partì subito con una versione di Sgt Pepper's dei Beatles. Emozione unica, altro mondo, altro pianeta».
E poi?
«Finì il concerto perché il Brancaccio doveva chiudere. Ma aveva voglia di suonare. Fu portato allora da Albertino Marozzi al Titan per una jam session. Suonò per ore, manco io riuscii a rimanere sino alla fine. Magari era strafatto, chissà. Ogni musica in fondo ha avuto la sua droga».
Cosa le è rimasto?
«Ogni decennio finisce sempre due anni prima: il '48 con la Costituzione e la ricostruzione, il '58 con la Dolce Vita. Gli anni '60 finirono quella sera, da lì in poi ci furono le rivolte, Autonomia Operaia, gli anni di piombo, sino all'omicidio Moro. Io ascoltavo già tanta musica, andavo ad ascoltare dischi da Consorti in viale Giulio Cesare, ma Hendrix, con quei suoni per il corpo e per la mente, fu davvero un prima e un dopo».
(M. Lev.)

Ultimo aggiornamento: Martedì 15 Maggio 2018, 05:01
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