Max Giusti racconta l'emozione del ritorno sul palco: «Le mie lacrime di gioia con il pubblico»

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di Marco Castoro

Non saliva sul palcoscenico di un teatro da una pomeridiana domenicale del marzo 2020. Sì, aveva fatto qualche spettacolo l'estate scorsa nelle arene all'aperto ma al chiuso è tutta un'altra cosa. Domenica sera Max Giusti ha visto di nuovo aprire e chiudere il sipario del teatro Piermarini, la piccola Scala di Matelica.

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Come è andata?
«Dopo due ore di spettacolo si chiude il sipario, mi richiamano sul palco, faccio un paio di bis, riesco di nuovo. Dopo il mio grazie si scatena l'applauso che ci ha travolto tutti: è durato quasi 10 minuti. 170 persone (il 50% della capienza) in piedi ad applaudire. Sembravano mille».


Minuti indimenticabili.
«Momento bellissimo, emozionante, con in testa l'idea di essere tornati alla normalità. Abbiamo dedicato l'applauso a coloro che avremmo voluto fossero qui con noi in teatro ma purtroppo non ci sono».


Un calcio al Covid e alla precarietà.
«C'è chi col Covid si è arricchito, chi si è rovinato, chi non si visto cambiare nulla, chi non l'ha superato, il nostro applauso liberatorio non è stato un applauso da cretini, bensì travolgente e nello stesso tempo consapevole di quello che abbiamo passato: abbiamo respirato un'aria di normalità. Mi sono sciolto durante l'applauso, ho applaudito anch'io. Mi sono passate tante cose davanti.

Quei lunghi e interminabili pomeriggi passati a fumare sotto la tettoia di casa, senza avere la voglia di fumare, io che avevo smesso. Eppure durante il lockdown ho fumato tantissimo perché ero ansioso, non sapevo che cosa sarebbe successo a me, alla mia famiglia, al mio lavoro. Il lockdown ci ha spaventati tutti».


Si è commosso?
«Chi l'avrebbe detto due anni fa che uno spettacolo potesse essere cosi bello. Da lacrime agli occhi, anche se non ho pianto sul palco, perché non mi piace, sono un professionista, ma gli occhi erano lucidi».


La riconquista della normalità.
«Ho pensato a quanto la vita vada assaporata ogni giorno. Il bello di questa ripartenza è che festeggiamo non per qualcosa di straordinario o di eccezionale ma per l'auspicio di ritornare alla nostra vita, a quello che ci siamo costruiti».


Ha pensato pure alle paure di non tornare sul palco?
«Io ho la grande fortuna di andare in giro per l'Italia e c'è gente che esce da casa per vedermi. Faccio questo mestiere perché mi piace l'applauso, mi piace farmi dire bravo. Ma è un mestiere che chiede forza e sofferenza. Se un falegname fa un mobile sbagliato, lo sa lui e il cliente. Se un attore sbaglia uno spettacolo, il suo insuccesso viene amplificato e ciò provoca alti e bassi a livello morale, ansie, insicurezze, si perde l'autostima. Ritrovare la forza di risalire sul palco dopo un po' di tempo non è facile. O stai fermo o ci provi. Io ho pensato di darmi da fare: è la mia terapia».
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Ultimo aggiornamento: Martedì 18 Maggio 2021, 20:57
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