«In scena e nella vita, viva la romanità»

«In scena e nella vita, viva la romanità»
Giancarlo Leone
Erede della romanità tramandata in scena da Petrolini ad Alfieri, Pietro Romano arriva in scena firmando soggetto, sceneggiatura e regia de Il solito ignoto, piéce comica nel rispetto della tradizione stilistica della Commedia dell'Arte.
Un titolo ingombrante. Non le pare?
«In realtà, la storia originale porta con sé il soffio vitale di un cinema indimenticabile, tuttavia il soggetto non ha nulla a che vedere con lo storico film. Tutto nasce dal bisogno di rappresentare, attraverso lo stile introspettivo che da tempo, ormai, segna le mie commedie, categorie umane che stanno dovunque, visibili in ogni angolo del mondo»
Un affresco sociale?
«Di fatto un inno alla normalità umana, a caratteri, sentimenti, atteggiamenti della gente comune, con l'obiettivo di far riflettere proprio su quanto si dia per scontato. Tutto espresso in chiave comica, perché ridere e far ridere è l'ossigeno della vita».
Un accenno di trama?
«È la storia di una coppia benestante qualsiasi, vittima di una routine che sbiadisce, da tempo, la quotidianità. Azioni, casualità, fatti cuciti tra loro e sui personaggi determineranno una piccola vittoria umana: non permettere alla noia e alla ricerca compulsiva dell'assurdo di avere la meglio».
Roma fa da sfondo
«È il supervisore artistico, come sempre: la ricerca dei suoni dialettali, allo scopo di offrire l'analisi purista di una lingua che va protetta dal morbo dell'appiattimento della parola diventa stile di scrittura, prima, chicca di recitazione, poi».
Con lei in scena?
«Il numero è cresciuto negli ultimi decenni. Miro sempre alla qualità. Le mie regie sono impegnative anche nella logica del tempo: per questo ho sempre bisogno di attori che siano disposti ad investire con me. Saliranno sulla mia giostra, questa volta, Marina Vitolo, Pierre Bresolin e Alessandra Cosimato».
Pietro Romano: nel nome già un destino artistico, o una casualità?
«Una casualità, come tutte le storie d'amore. Ho sempre amato profondamente la mia città, ma non avrei mai immaginato di diventare un cultore e divulgatore del romanesco. Ho iniziato che non avevo ancora 12 anni, prima al Teatro dell'Opera, poi dovunque ne avessi l'opportunità».
Un mentore?
«È stato determinante l'incontro con il Maestro Alfiero Alfieri, nel 1997, con il quale ho iniziato un vero percorso artistico, supportato da una altro grande del dialetto e della cultura romana, Renato Merlino».
L'intervista integrale su Leggo.it
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 26 Febbraio 2020, 05:01
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