Il regista Waititi: «JoJo Rabbit antinazista come un bambino»

Alessandra De Tommasi
ROMA Associato spesso a La vita è bella di Benigni, JoJo Rabbit nelle sale giovedì, ha vinto il Festival di Toronto e si è guadagnato due nomination ai Golden Globe. Il regista Taika Waititi (Thor: Ragnarok) ha spiegato però che premio più importante è racchiuso nelle parole che gli ha rivolto a fine film la figlia di due deportati ad Auschwitz. «Mamma e papà parole sue - avrebbero amato questa storia», tratta dal romanzo Il cielo in gabbia di Christine Leunens (SEM) e raccontata con humour sottile.
Il protagonista, JoJo detto coniglio (rabbit), è un bambino tedesco di dieci anni che durante la Seconda Guerra Mondiale sceglie come amico immaginario Hitler, interpretato dallo stesso Waititi. Intanto la madre (Scarlett Johannson), ostile al regime nazista, nasconde una giovane ebrea in soffitta: l'incontro tra i due scatena una satira feroce e commovente.
Waititi, questo adattamento non comportava troppi rischi?
«Quando ti spingi oltre i limiti capita spesso, ma non è la prima volta che un personaggio simile venga riportato in vita per un fine più alto, anche se sulla carta politicamente scorretto. Quasi la metà della popolazione americana e sei millennial su dieci ignorano la storia della deportazione nazista, quindi mi pare evidente l'urgenza di raccontarla».
Da ebreo, questo progetto le è sembrato necessario?
«Una parte della mia famiglia è anticlericale, un'altra è ebrea osservante, ma a casa mia la gente si divide solo in due categorie: quelli che sono razzisti e quelli che non lo sono, chi ama e chi odia gli altri».
Qual è lo sprone che l'ha spinta a lottare anni per realizzare il film?
«L'idea che tocca agli adulti prendersi cura della nuova generazione a cui affidiamo il mondo i bambini li guardano pensando che abbiano tutte le risposte».

Ultimo aggiornamento: Martedì 14 Gennaio 2020, 05:01
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