IL PIBE DE OSCAR

IL PIBE DE OSCAR
Michela Greco
CANNES - Diego o Maradona? Genio o imbroglione? Odio o amore? Le parole più toccanti su quel dio del calcio che fu eletto a icona di una città e poi, altrettanto velocemente, buttato nella polvere, le dice il suo preparatore atletico Fernando Signorini: «C'era Diego, un ragazzo adorabile venuto da una bidonville di Buenos Aires con molte insicurezze e un grande amore per la sua famiglia, e poi c'era Maradona, il personaggio che lui stesso aveva inventato per convivere con la sua celebrità. Il primo lo avrei seguito in capo al mondo, il secondo nemmeno per pochi passi». Parole che Signorini pronuncia nel documentario Diego Maradona, svelato ieri, fuori concorso, al Festival di Cannes e impreziosito da molte voci off, compresa quella del campione.
Dietro la macchina da presa, e soprattutto dietro le ricerche durate anni che hanno portato alla luce 500 ore di filmati inediti dagli archivi personali del calciatore, c'è il regista britannico Asif Kapadia, detentore di uno sguardo e di una sensibilità fuori dal comune che gli hanno permesso di cogliere il cuore del mistero di altri due giganti ipermediatizzati e - forse proprio per questo - poco compresi. Nel 2010 aveva composto un travolgente ritratto di Ayrton Senna, nel 2015 quello - strappacuore - di Amy (Winehouse), grazie al quale ha conquistato un Oscar. Alle prese col Pibe de Oro, con i sentimenti violentissimi e opposti che ha suscitato, con la statura di santo e con quella - speculare - di diavolo che gli era stata attribuita, Kapadia non ha trascurato nulla, rivolgendosi innanzitutto ai suoi anni napoletani. Quelli in cui «la città più povera d'Europa aveva ingaggiato il giocatore più costoso in assoluto». Tra il 1984 e il 1991 Diego incantò Napoli con due scudetti e molte imprese da supereroe sul campo da calcio, ma flirtò con la camorra e con la cocaina. Fino a divenire ostaggio di entrambe. Amò i suoi tifosi, la sua città di adozione e molte donne, ma non seppe gestire gli effetti perversi di un'idolatria che si confondeva con un feroce desiderio di riscatto da parte di una curva storicamente bersaglio di insulti. Colerosi, lavatevi si leggeva allora sugli indegni striscioni contro i partenopei. Il regista non ha taciuto nulla. Ha mostrato l'arroganza e la generosità di Maradona, che a 15 anni già manteneva la famiglia d'origine e, pur senza rivelare nulla di clamoroso, ha centrato un equilibrio narrativo capace di restituire l'umanità di un uomo baciato dal talento e sopraffatto dalla pressione prima, dalla rabbia poi. Un uomo che arrivò a Napoli accolto da 85mila tifosi adoranti e da lì ripartì. Solo.
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 19 Febbraio 2020, 05:01
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