Ex Ilva, semaforo rosso di Mittal: «Abbandoniamo l'Italia»

Mario Landi
«La vicenda #Ilva è diventata l'ora del dilettante. Tra scaricabarile, voti poi rinnegati, proclami populisti, cordate fantasma. Tutto era annunciato. Politici che non hanno mai lavorato fuori dal Parlamento fanno chiudere la più grande fabbrica del Sud. Il resto è chiacchiera», scrive su Twitter Carlo Calenda. E Salvini, sempre sullo stesso social: «Faremo il possibile per far proseguire l'attività degli stabilimenti siderurgici dell'ex Ilva, perché è assolutamente impensabile perdere migliaia di posti di lavoro e un'industria cruciale per il nostro Paese». Forza Italia, attraverso il vicepresidente vicario dei senatori Lucio Malan, annuncia che continuerà a riproporre «l'emendamento per lo scudo penale sulla bonifica dell'ex Ilva, che era stato dichiarato inammissibile». Matteo Renzi e Nicola Zingaretti appoggiano una retromarcia sullo scudo.
Sono solo alcune delle posizioni politiche a proposito della minacciata chiusura dgli stabilimenti siderurgici. Il vertice di tre ore tenuto ieri a Palazzo Chigi tra governo e legali del colosso franco-indiano ArcelorMittal, sembra sia solo servito a ribadire che l'azienda non rispetterà il patto industriale sottoscritto un anno fa. Quindi va via dall'Italia esercitando il recesso dovuto alla legge del 2 novembre, che «ha eliminato la protezione legale essenziale per consentire di esercitare i Rami di azienda senza incorrere» in responsabilità. Ci sarebbero difficoltà di riconversione degli altoforni 2 e 4, che necessitano di manutenzioni ricorrenti non immaginabili al momento della stesura del piano che prevede un break even con una produzione di 6 milioni di tonnellate annue, al momento ferme sulle 4-4,5 milioni.
Intanto ieri a Taranto la Fim Cisl ha indetto uno sciopero che ha bloccato l'acciaieria 1, con una grande partecipazione di lavoratori.
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Ultimo aggiornamento: Giovedì 7 Novembre 2019, 05:01
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