«Ci univa come una famiglia Così riuscivamo a vincere»

«Ci univa come una famiglia Così riuscivamo a vincere»
IL PERSONAGGIO
TREVISO «Mi hanno chiamato degli amici, dall'Italia. E non ci volevo credere». Mike D'Antoni risponde da Houston, città dove allena nella sua ennesima stagione da capo allenatore nell'Nba. Una telefonata è bastata non solo per cambiargli l'umore, ma anche per gettarlo in una centrifuga di ricordi ed emozioni. Lui, a Gilberto Benetton, era legatissimo. Il loro era un rapporto speciale: avevano la stessa concezione di basket, la medesima voglia di vincere. Gilberto, in pubblico, non ha mai fatto preferenze tra i suoi allenatori. Ma Mike era diverso: gli ha riempito la bacheca, lo ha fatto divertire con quel gioco velocissimo, spumeggiante, visto raramente in Italia. La Benetton di D'Antoni è stato uno spettacolo per gli occhi. E Gilberto la adorava. In tre anni sulla panchina trevigiana - distribuiti in due parentesi: dal 1995 al 1997 la prima volta e la stagione 2000-2001 la seconda - D'Antoni ha portato alla causa biancoverde due scudetti, una coppa Italia, una coppa Europea. E tante emozioni. Gli archivi sono pieni di foto in cui lui e Gilberto festeggiano qualcosa. Sono sempre sorridenti, felici. E quella telefonata così triste, ricevuta mentre stava preparando la prossima gara dei suoi Houston Rockets, ha smosso ricordi, immagini e tanta tristezza.
D'Antoni, con Gilberto Benetton aveva un legame particolare.
«Rappresentava tutto quello che io ritengo essere il meglio del basket. Sono profondamente addolorato. E in questo momento io e la mia famiglia siamo molto vicini alla sua».
La vostra Benetton ha vinto tutto.
«Le vittorie, i successi che abbiamo raggiunto sono solo una parte. Forse nemmeno la più importante».
E cosa è stato importante?
«È stato bellissimo invece il rapporto che si era instaurato tra me, lui, la squadra, la società. Le esperienze fatte a Treviso sono state tra le più belle della mia vita. Si era creato un clima da vera famiglia».
Tra tanti ricordi ne scelga uno.
«Impossibile. Posso citare però le chiacchierate dopo ogni partita, sia che avessimo vinto o avessimo perso. Ci si confrontava parlando di basket. E questo accadeva ogni giorno».
Lei di dirigenti ne ha avuti tanti, sia in Italia che nell'Nba: Gilberto Benetton come si posiziona?
«Tra i migliori in assoluto. È vero: ho avuto a che fare con tanti dirigenti, ma lui è stato il massimo. Aveva la capacità di tenere tutti uniti, di farti crescere. E di aiutarti a vincere».
Parteciperà ai funerali di venerdì?
«Purtroppo no e sono addolorato per questo. In questa fase dell'anno giochiamo praticamente ogni giorno, impossibile staccare. Ma la vicinanza alla famiglia Benetton è totale».
Sapeva della sua malattia?
«Assolutamente no, sono rimasto molto sorpreso. Ieri, quando ho saputo della sua morte, mi hanno raccontato tutto. È stato molto brutto».
Cosa rimane, adesso, della sua esperienza italiana?
«Sono triste, molto triste. Nel mio animo conservo tante emozioni, tanti ricordi. Quelle vissute in Italia sono tra le esperienze più importanti sia a livello professionale che personale. E il signor Gilberto occupa un posto importante».
P. Cal.

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 24 Ottobre 2018, 05:05
© RIPRODUZIONE RISERVATA