Massimiliano Leva
Dietro a quei suoi baffoni nulla è cambiato. Fabio Treves

Massimiliano Leva
Dietro a quei suoi baffoni nulla è cambiato. Fabio Treves sta per compiere 70 anni. Ma la passione, quella per il blues, non tramonta mai. Come potrebbe del resto, per uno come Treves che il verbo del blues in Italia l'ha sempre protetto come un figlio. «È ciò che mi rende ancora libero: è una musica che significa libertà, amore, dolore, vita». E se lo dice lui, che dalla fine dei 60 è stato tra i primi a importare questo genere, c'è proprio da credergli. Domani sera arriva dal vivo al parco Tittoni di Desio con la sua mitica Treves Blues Band: anno di fondazione 1974. Praticamente: la più longeva blues band nostrana.
Treves, qual è il segreto di così tanta strada fatta nel nome del blues?
«Quando cominciai ragazzino, tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, c'era chi mi diceva: ma cosa vuoi suonare? Guarda che quella roba lì dura ben poco. Io invece sapevo che si sbagliavano. Ecco, un segreto vero e proprio non c'è. È una questione di anima, uguale per tutti, dal più ricco al più povero, perché tra chi ama questo genere distinzioni non ce ne sono».
Sono quasi 50 anni di carriera. Un aneddoto o un rimpianto in particolare?
«Troppi i momenti belli per poterne citare anche solo un paio. Però, un rimpianto, forse c'è: nel 1980 mi chiesero di aprire per il famoso concerto di Bob Marley a San Siro. Rifiutai perché avevamo già altri impegni presi e non se ne fece nulla. Ma pazienza, la vita è bellissima anche così».
Come vede le nuove generazioni nei confronti del blues?
«Vedo solo bene: ai nostro concerti ci sono sempre tanti giovani. Qualche solone insiste a chiamare il blues musica di nicchia, io invece insisto nel dire ai ragazzi che incontro: andate avanti, non fermatevi se vi piace questa musica. A loro non può che fare bene».
Stanno per scoccare i 50 anni di Woodstock? I suoi ricordi?
«Seppi per caso di Woodstock. In Italia circolavano ben poche notizie musicali allora. Chi non c'era non può immaginarsi. Ma io in quell'agosto 69 avevo la maturità e quindi non ne feci nulla. Ma mi presentai un anno dopo invece all'isola di Wight, per quella che fu la Woodstock inglese. Partimmo in cinque su una Renault 4, senza biglietto. Tra il pubblico incontrai per caso il mio amico Eugenio Finardi, là tra migliaia di persone».
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Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Luglio 2019, 05:01
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