Ferruccio Gattuso
Emozioni. Non poteva intitolarsi in altro modo lo spettacolo

Ferruccio Gattuso
Emozioni. Non poteva intitolarsi in altro modo lo spettacolo di lunedì al Teatro Dal Verme. Sul palco Mogol, l'immenso autore, il cantante Gianmarco Carroccia e un'orchestra di sedici elementi. Insieme danno vita a un viaggio in parole e musica tra le canzoni della ditta Battisti-Mogol. Coppia incontratasi per caso, capace di segnare nuovi confini per la canzone italiana, perché se Battisti introduceva fusioni armoniche tra melodia nostrana e America, Mogol sfidava immaginazione e orecchio del pubblico con storie e aggettivi anticonformisti. Brani come Mi ritorni in mente, La collina dei ciliegi, Il mio canto libero, Il nostro caro Angelo sono lì a raccontare una storia che non è come tutte le altre.
Mogol, sono più di vent'anni che Lucio ci ha lasciati: qual è il primo pensiero che la attraversa quando si lascia andare ai ricordi?
«A quando ci imbattemmo l'uno nell'altro».
Come e dove avvenne il vostro incontro?
«A Milano, città delle etichette discografiche, 1965. A metterci uno di fronte all'altro fu una ragazza di nome Christine Leroux, un'editrice musicale francese. Fu lei ad accompagnare Lucio da me. Come andò? La verità è che avevo sentito un paio di pezzi di Battisti e non li avevo trovati un granché. E glielo dissi. Ma non mi chieda titoli perché dopo tanti anni la memoria non è precisa».
Poi però la scintilla scoccò.
«Fu naturale. Io mi fidavo di lui e lui, ciecamente, di me. Mi portava le musiche e io, solo dopo averle ascoltate, partorivo i testi. Ho sempre lavorato così: le parole devono nascere dalle suggestioni musicali. La cosa che mi stupiva di Lucio è che il giorno dopo che gli avevo consegnato il testo, lui lo sapeva a memoria e lo interpretava nel modo giusto, dimostrando di avere un grande rispetto per il mio lavoro».
E lei, quando si rese conto di saper scrivere canzoni?
«Nessun colpo di scena. Man mano che lavoravo. L'inizio è faticoso in qualsiasi professione, richiede applicazione. Si imparano le regole: le sillabe, gli accenti, la metrica».
C'è un autore e collega che lei stima più altri?
«Gianni Bella, davvero bravo con le parole, senza contare che è anche compositore».
Lei e Battisti siete sempre stati particolarmente riservati: anche in questo fratelli d'arte?
«Sì. Non abbiamo mai cercato i riflettori. Sapevamo bene che il destino fa passare tutto, successi e cadute».
Quando nasceva una vostra canzone, intuivate già le possibilità di successo?
«Sa dove andavamo a testarle? All'Istituto Tumori, qui a Milano. Erano i pazienti ad ascoltarle in anteprima. Ascoltavamo i loro giudizi: erano i più sinceri, per molti motivi».
Qual è il luogo dove preferisce scrivere?
«Il luogo non conta. Un testo mi nacque in testa mentre ero al cinema, al buio, ascoltando una colonna sonora. Conta il momento: al mattino appena sveglio. Scrivere richiede concentrazione e determinazione».
E la scelta di Gianmarco Carroccia?
«Basta una canzone per capire. Grande interprete, timbro molto simile a quello di Lucio. E poi la grande orchestra alle sue spalle. Io racconterò aneddoti, a loro spetta la musica».
Sanremo è alle porte. Lo guarderà?
«Non lo so dire. Se capiterà, ascolterò cosa c'è di buono».
E le polemiche di questi giorni?
«Assolutamente no».
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Ultimo aggiornamento: Venerdì 31 Gennaio 2020, 05:01
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