Ferro Cosentini
A volte non bastano le parole, e così una canzone può

Ferro Cosentini
A volte non bastano le parole, e così una canzone può evocare sentimenti assopiti dentro di noi. Altre volte, la canzone non può spiegare a fondo, in quei tre canonici minuti di durata, le pieghe di un ragionamento che va fatto per intero. Ecco perché Neri Marcorè si trova perfettamente a suo agio nella forma del teatro-canzone: lo ha fatto con Giorgio Gaber, con i Beatles e ora si arma dei versi e delle note di Fabrizio De André, ma anche delle parole pregnanti e spesso scomode di Pier Paolo Pasolini, per dare forma a Quello che non ho, il suo ultimo spettacolo scritto e diretto da Giorgio Gallione, in cartellone al Teatro degli Arcimboldi dal 22 al 25 febbraio.
L'attore marchigiano percorre le poetiche del cantautore e dell'intellettuale scomparsi, e allo stesso tempo conduce quei punti di vista artistici così particolari all'interno del nostro contemporaneo, viaggiando tra dramma e comicità, surreale e grottesco, raccontando storie di sfruttamento dell'uomo e dell'ambiente. Si parla ad esempio del cosiddetto Sesto Continente, un'enorme Atlantide di rifiuti di plastica, grande due volte e mezzo l'Italia, che galleggia al largo delle Hawaii; e poi di esclusione, di ribellione, di guerra, di illegalità, e di una supposta decrescita felice dove il potere di scelta dell'individuo decresce insieme alle possibilità finanziarie.
Al centro del racconto di Neri Marcoré c'è tutto il nostro mondo, o meglio la nostra epoca «sempre in precario equilibrio tra ansia del presente e speranza nel futuro», dove scienza e tecnologia offrono soluzioni ma anche inquietanti tentazioni. Marcoré affabula, suona e canta, e i brani di Faber - da Una storia sbagliata a Ottocento, da Don Raffaè a Dolcenera fino a Quello che non ho, che dà il titolo al spettacolo sono la colonna sonora di più di una generazione spinta a farsi qualche domanda in più.
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Ultimo aggiornamento: Martedì 20 Febbraio 2018, 05:01
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