Padri che uccidono i figli: il possesso annulla l’amore


di Titti Marrone
Abbiamo sperato e continuato a sperare che non l’avesse fatto. Invece l’appuntato Luigi Capasso ha compiuto contro le figlie Alessia e Martina, di 8 e 13 anni, il peggior atto di cui padre si possa macchiare. Le ha ammazzate, e consola poco sperare che possa averlo fatto mentre ancora dormivano.

Un padre che uccide i figli è il sommo stravolgimento dell’ordine naturale della vita. È il più traumatico rovesciamento che si possa immaginare del ruolo paterno perché è il suo assoluto tradimento. Talmente inaccettabile da essere evocato, nel racconto biblico, come prova suprema ordinata da Dio nella narrazione più sconvolgente, quella discesa agli inferi della coscienza chiamata «sacrificio di Isacco», fermato solo dalla divinità ma non inconcepibile dalla mente del padre, che si accingeva a compierlo.
Ma se la tradizione mitologica assegna alla figura della Madre-Medea l’orrore di farsi assassina della propria progenie per somma vendetta verso l’uomo amato, la cronaca segnala una progressione preoccupante di casi in cui l’omicida dei figli è l’altro genitore. Quasi suggerendo un’oscura tendenza in agguato, come un «sindrome di Medea» maschile in aggiunta a quella piaga femminicida che vede tra gli assassini una sconcertante frequenza di uomini in divisa: solo un mese fa, a Frosinone e Bellona, un agente di polizia penitenziaria e una guardia giurata, adesso, il carabiniere Luigi Capasso, femminicida e anche parricida, ma come gli altri due abituato a trafficare con le armi. E quindi, evidentemente indotto a considerarle a mo’ di protesi della propria persona, simboli di potere, autorità, potenza desiderati e mai posseduti.
Padri che uccidono i figli: i moventi sembrano sempre gli stessi e affondano le radici nella fragilità di uomini indotti a vedere la propria mascolinità vulnerata dal femminile non più sottomesso incarnato dalle mogli. Gli studi condotti su questi casi concordano nell’escludere la logica del raptus e a evidenziare le somiglianze di storie terribili dove spesso ci sono uomini frustrati, a volte donne decise alla separazione e sempre l’atto violento viene compiuto come ritorsione. Con un unico scopo: punire le mogli attraverso la loro massima rappresentazione simbolica, la prole.
Andando indietro con la memoria balza in primo piano, indelebile, un’atroce storia di ventidue anni fa: il triplice assassinio compiuto da Tullio Brigida, che uccise e seppellì i figli Laura, Armando e Luciana – di 12, 7 e 2 anni – nelle campagne di Cerveteri, in provincia di Roma. Era il 1995 e l’uomo, ex operaio, soffocò i suoi tre bambini con l’ossido di carbonio, dopo averli portati in auto e aver introdotto nell’abitacolo un tubo di scarico. Separato dalla moglie, aveva perso la patria potestà per i suoi atteggiamenti violenti ma aveva chiesto d’incontrare i bambini prima di Natale. La donna non poteva immaginare a che cosa avrebbe portato l’aver ceduto a quella richiesta. E avrebbe passato quasi un anno e mezzo nella ricerca dei figli, perché solo nell’aprile del 1995 l’uomo indicò dove avesse seppellito i corpi. In un’udienza del processo che ne seguì, chiarì il motivo del suo atto quando, rivolgendosi alla moglie, le sibilò tre parole lancinanti: «Ti ho punito».
È del 2013 un altro assassinio di figli per mano di padre, evocato di recente nella trasmissione Le Iene con un video in cui Nadia Toffa ha raccolto il racconto della madre, Enrica Patti. Lei aveva denunciato dieci volte per stalking suo marito Pasquale Iacovone, imbianchino del Bresciano, e aveva chiesto il divorzio. Ma per quello che poi si sarebbe rivelato un atroce errore del giudice, l’uomo aveva ottenuto l’affidamento dei bambini, Davide e Luca, 12 e 9 anni. In una delle tante querele, la donna aveva rivelato come lui l’aveva minacciata: «Te li ammazzo». Tre anni dopo avrebbe mantenuto la parola, soffocando i suoi figli nel sonno.
Tutti ricorderanno un altro caso, cui Concita De Gregorio ha dedicato il bel libro «Mi sa che fuori è primavera» (Feltrinelli). Si concluse con il suicidio del padre assassino, altro elemento ricorrente: lui si chiamava Matthias Schepp, era uno svizzero in apparenza algido e meticoloso, marito di un’italiana, Irina Lucidi, da cui stava per divorziare. Nel gennaio 2011 la donna tornò a casa dal suo lavoro, più importante e meglio remunerato di quello di lui, e scoprì che il marito aveva portato con sé le loro gemelline di 6 anni, Alessia e Livia. Dopo ricerche in mezza Europa, il 3 febbraio 2011 Schepp si gettò sotto un treno in Puglia togliendosi la vita, dopo aver scritto una lettera alla moglie in cui la informava di aver ammazzato le gemelle, mai più ritrovate.
E poi il 5 dicembre 2016, a Frattaminore Gennaro Iovinella, 50 anni, disoccupato, uccide il figlio Luigi di 3 anni e la moglie da cui si sta separando, infine s’impicca. E poi a Castiglione del Lago, vicino Perugia, il 30 gennaio 2016 Maurilio Palmerini, 58 anni, accoltella a morte i figli di 13 e 8 anni e si suicida. E poi l’elenco, purtroppo, potrebbe continuare a lungo, sempre parlando di una disperazione familiare infinita e senza ritorno.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 28 Febbraio 2018, 23:02
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