Fase 2, un locale su 10 non riparte: il take away non conviene

Fase 2, un locale su 10 non riparte: il take away non conviene

di Rosario Dimito
ROMA A partire dal 4 maggio nei bar e ristoranti è autorizzata la vendita da asporto di alimenti e bevande, che però non potranno essere consumati nell’esercizio né in prossimità dello stesso per evitare assembramenti. La Fipe, Federazione degli esercizi pubblici della Confcommercio, ha condotto un sondaggio presso 400 esercizi associati. Il 56% delle imprese vuol effettuare l’attività di asporto, il 36,7% da subito mentre il 20% non appena avrà ultimato le procedure previste dai protocolli di sicurezza. Chi ha deciso di non dare questo servizio è perché ritiene prima di tutto che non sia adatto alla propria offerta, perché c’è poca domanda o perché la clientela del locale non richiede quel servizio. 

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L’11,4% non apre perché non è economicamente vantaggioso mentre l’1,7 % rimane chiuso per la paura del contagio. La tipologia di attività incide leggermente sulla decisione di svolgere l’asporto o meno, a rinunciare, infatti, sono più i bar dei ristoranti (il 51,9% non aprirà contro il 42,5%). Per l’83% l’asporto riguarderà sia bevande che cibi e prevarrà, per effetto delle ordinanze regionali, la prenotazione telefonica (81%), seguita da quella online (53,7%). Per la maggioranza delle imprese l’asporto era poco o per nulla rilevante per il proprio business ma oggi il 54,6% confida che la quota di fatturato generata da questa attività sarà destinata a crescere. Il personale dipendente richiamato in servizio non supera il 10% di quello in forza prima del lockdown. La maggioranza di coloro che fanno asporto (78%) utilizzerà un apposito packaging ed il 67% ha affiancato l’asporto al delivery. «Siamo consapevoli che il solo asporto e delivery non rendono bar e ristoranti autosufficienti», dice Roberto Calugi, dg della Fipe, «servono aiuti subito a fondo perduto per riaprire in sicurezza».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 7 Maggio 2020, 09:48
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