Covid, team giovane e internazionale: così Pomezia prepara il vaccino

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di Mauro Evangelisti

A una trentina di chilometri dal centro di Roma, in un complesso di palazzine a Pomezia che occupa un’area di circa 80 mila metri quadrati, si sta lavorando giorno e notte. Ricercatori provenienti da tutto il mondo, età media 35 anni, sono impegnati senza sosta perché - e per una volta non c’è un eccesso di enfasi - stanno scrivendo la Storia, o almeno così sperano.


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I test


Hanno avuto un ruolo decisivo nell’elaborazione del vaccino anti Covid 19 il cui inoculo virale è stato preparato dall’Istituto Jenner dell’Università di Oxford. L’esito delle prime fasi della sperimentazione, riassunto l’altro giorno sulla rivista The Lancet, è stato unanimemente giudicato promettente. Ora sta scattando la fase tre: a gruppi di diecimila volontari in Usa, Brasile e Sud Africa vine somministrato il vaccino. Anzi viene iniettato a una metà di loro, all’altra metà viene data la dose placebo. «Eh sì - racconta il presidente di Irbm, Piero Di Lorenzo - le fiale le stiamo preparando qui, nei nostri laboratori. Di volte in volta le spediamo, la fase tre è ormai in corso da due mesi». Spoiler sul possibile finale: se tutto andrà bene - ma si tratta di un se importante - tra novembre e dicembre ci saranno le prime dosi anche in Italia.

LA SFIDA
Riassunto delle puntate precedenti: a metà gennaio fu pubblicato dagli scienziati cinesi il sequenziamento del gene della proteina spike del virus; l’Istituto Jenner dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, utilizzò le competenze maturate nello studio della famiglia dei coronavirus e in due settimane preparò l’inoculo virale, il nocciolo del vaccino. Poi, si rivolse alla Irbm di Pomezia, che invece ha una specializzazione importante sugli adenovirus, il vettore virale. In questo modo si è arrivati all’elaborazione, con tempi in passato inimmaginabili, del candidato vaccino che vede in prima fila anche la multinazionale AstraZeneca (anglo-svedese) che si occuperà della produzione globale (2 miliardi di dosi, sempre se anche la fase 3 della sperimentazione darà i risultati sperati). Anche se la stampa americana e britannica spesso lo dimentica, la Irbm di Pomezia ha avuto un ruolo chiave nella preparazione del vaccino. E per la produzione della quota italiana, Irbm ha dato la sua disponibilità alla capofila AstraZeneca e al governo (potenzialmente 20 milioni di dosi all’anno, ma se servirà anche di più; una industria di Anagni si occuperà dell’infialamento). Nel frattempo bisogna produrre le prime 15 mila dosi per la sperimentazione: su questo Irbm sta già lavorando. E nella parte in cui sono ospitati i laboratori (20mila metri quadrati, uno spazio esteso come un grande centro commerciale) non esistono più orari. Per Irbm - 43 milioni di fatturato che riflettono l’attività di un centro di ricerca di eccellenza - si tratta di una sfida epocale (e anche qui l’enfasi è giustificata). Di Lorenzo: «Quando undici anni fa rilevai la struttura dalla multinazionale Merck, non avrei certo immaginato che ci saremmo trovati a svolgere un ruolo chiave in una storia così importante, con partner prestigiosi come Oxford e AstraZeneca».
SICUREZZA
Nel polo della ricerca di Pomezia quando si scherza si usa l’italiano e, per i più scafati, il romanesco, ma quando si lavora c’è solo l’inglese, visto che sono rappresentati molti paesi del mondo. E il livello di sicurezza, normalmente molto alto, è stato moltiplicato: bisogna evitare incursioni fisiche e informatiche, lo spionaggio industriale in una partita come questa è un rischio quotidiano. Anche i corrieri che partono per consegnare le dosi della sperimentazione seguono protocolli e attuano contromisure che non si possono raccontare. Tutto questo sta succedendo a Pomezia, a una trentina di chilometri dal centro di Roma.
 


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 30 Dicembre 2020, 16:23
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