Coronavirus, il virologo Guido Antonelli: «Non è la Sars, ma dobbiamo prepararci al contagio»

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di Mauro Evangelisti
Guido Antonelli, virologo, professore ordinario di Microbiologia alla Sapienza di Roma. Riusciremo ad evitare che arrivi anche in Italia il contagio del 2019-nCoV, il coronavirus il cui focolaio si è sviluppato a Wuhan, in Cina, che già ha provocato 17 morti?
«Per quanto ci sia stata una risposta tempestiva e siano state previste misure di contenimento, anche rigide, con la globalizzazione, la diffusione del commercio internazionale, dei viaggi e del turismo, è possibile che il virus arrivi anche in Europa. Ricordiamoci che la trasmissione è per via aerea».

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Rispetto al 2002-2003, ai tempi della Sars, quando le autorità cinesi inizialmente furono restie nel dare notizie sul virus, oggi c’è stata maggiore trasparenza. Ma abbiamo un altro problema: il mondo è più piccolo, i cittadini cinesi viaggiano con più frequenza anche in Europa e noi europei andiamo in Cina più spesso, rispetto a diciassette anni fa.
«Noi abbiamo imparato tanto dalla Sars e dalla Mers, quindi l’Organizzazione mondiale della Sanità, con la rete che ha istituito, è stata molto più pronta di prima nel coltivare, identificare e sequenziare il genoma. Ha distribuito la sequenza del genoma, tutti i laboratori possono fare la diagnosi e quindi da questo punto di vista siamo più pronti rispetto all’evento Sars. Tuttavia essendo un virus che si trasmette per via aerea che può essere limitato solo con misure estremamente rigide, la situazione potrebbe essere molto preoccupante».
 


È corretto dire che questo coronavirus è mutante?
«Non sappiamo che cosa stia avvenendo ora, però i coronavirus possono mutare. Ma la mutazione che ha portato alla trasmissione da uomo a uomo è avvenuta, perché gli operatori sanitari che hanno preso in cura i primi infettati sono stati contagiati. In sintesi: c’è stato un primo contatto tra animale e uomo, e poi il passaggio a un altro uomo, dunque è possibile che ci sia stata una mutazione».

L’ultimo bollettino parla di 17 morti su 400 casi. Raccontata in questo modo ci fa pensare a un tasso di mortalità molto alto, tale da preoccuparci.
«No, questo non è un metodo corretto per ipotizzare un alto tasso di mortalità del 2019-nCoV. E’ vero, ci sono 17 vittime ed è un numero preoccupante. Ma non possiamo affermarlo con certezza su una base di 400-500 infettati, perché non possiamo escludere che vi sia un numero di infettati non ancora rilevato e anche una parte di asintomatici, persone che hanno contratto il virus ma non presentano i sintomi della malattia, come avviene con numerose altre infezioni virali, ad esempio con l’influenza. Questo significa che nel tentare di definire il tasso di letalità di questo coronavirus di Wuhan rischiamo di arrivare a una conclusione sbagliata perché uno dei fattori, il numero delle persone infette, non è certo e forse è sottodimensionato. Semmai, c’è un altro elemento su cui dobbiamo riflettere...».

Quale? Colpisce che in pochi giorni siano stati registrati casi anche in altri paesi, dalla Thailandia a Giappone, da Macao a Hong Kong, fino agli Stati Uniti. Un paziente è sotto osservazione anche in Australia.
«Questo è un problema. Oltre al numero dei morti, che ovviamente è un significativo, però il fatto che in diversi paesi differenti dalla Cina siano stati registrati dei casi indica che il coronavirus è trasmissibile con una certa facilità. Forse non come il virus della Sars, che si trasmetteva con ancora più rapidità, sempre per via respiratoria. Facciamo un esempio: il virus del morbillo hanno un alto indice di trasmissibilità, ogni individuo può infettare dieci persone; nel caso dell’influenza siamo a 1,5-2. In questo caso ancora non lo possiamo stabilire, ma visto che si è diffuso con una certa rapidità riteniamo che questo tasso sia relativamente elevato».

Questo coronavirus di Wuhan è simile a quello della Sars?
«Dal punto di vista genetico e dell’assetto biologico, la risposta è sì. I determinanti strutturali ci dicono che è molto simile. Sulla patogenesi e sull’epidemiologia ancora non abbiamo notizie certe. Di certo, la mortalità esiste, ci sono casi diagnosticati e documentati, significa che è abbastanza patogeno. Il virus della Sars probabilmente lo era di più e colpiva categorie diverse, soprattutto giovani adulti. In questo caso invece si parla al momento di soggetti più fragili». 

Ma che fine ha fatto la Sars?
«Nell’uomo non c’è più, è finita la trasmissione, non c’è stato più nessun caso documentato di infezione dalla Sars. I ceppi sono conservati solo in alcuni laboratori per avere dei controlli positivi in caso di necessità di diagnosi».
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 23 Gennaio 2020, 00:34
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