Coronavirus, Francesco Vaia, Spallanzani: «Via ai test su 40 volontari per il vaccino nato a Roma»

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di Camilla Mozzetti

Si partirà in estate - tra giugno e luglio - con circa 40 volontari che l’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani selezionerà entro la fine di maggio. Ed è dal centro al quartiere Portuense, diventato in queste settimane di pandemia punto di riferimento per il trattamento dei pazienti coronavirus della Regione Lazio, che partirà la sperimentazione del vaccino contro il virus, la cui proprietà è dell’azienda di Castel Romano “ReiThera th”.

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Un progetto ambizioso che permette di «Applicare la ricerca pura alla clinica», spiega il direttore Sanitario dello Spallanzani Francesco Vaia, impegnato in questi giorni a creare l’ambiente «Iper-protetto che sarà usato per la sperimentazione». Si tratta del secondo piano dell’istituto che sarà completamente ripensato e trasformato al fine di «ottenere - conclude Vaia - L’autorizzazione dell’Aifa come indicano i protocolli correnti». In questo spazio, in sostanza, tra poche settimane verrà valutato l’efficacia di un vaccino con la speranza di arrivare in tempi brevi alla valutazione dei risultati. 

IL PROCEDIMENTO
Tecnicamente si tratta della “Fase 1” della sperimentazione che segue quella condotta di prassi sugli animali e vedrà il coinvolgimento attivo delle persone. «Lo Spallanzani ha alle spalle - spiega il direttore Scientifico Giuseppe Ippolito - una lunga tradizione di ricerca virologica e immunologica. Ha le competenze per allestire un’area dedicata secondo i parametri dell’Agenzia del farmaco». Tutto il mondo in questo momento vede consorzi per lo sviluppo dei vaccini «E tutto il mondo sta applicando una strategia unitaria per la gestione dei vaccini, non è detto che alla fine ce ne sarà uno solo - conclude Ippolito - ma l’importanza di produrlo con una azienda italiana che ne è proprietaria è quello di poter contare su un brevetto italiano e non su un brevetto di altri paesi di cui l’Italia sarà solo produttore di piccoli lotti».

Una grande scommessa in cui credono sia la Regione Lazio che i ministeri dell’Università e della Salute giacché la sperimentazione, al momento, verrà avviata con finanziamenti pubblici. «È la nostra principale sfida - commenta l’assessore alla Sanità della Regione Alessio D’Amato - speriamo di partire presto, siamo l’unica Regione ad avere investito sulla sperimentazione». Di che vaccino parliamo?

LA TECNICA
Le istituzioni, avvalendosi di un comitato internazionale di esperti coordinati dal professor Mauro Piacentini dell’Università di Roma Tor Vergata hanno deciso di puntare su un vaccino genetico basato su un vettore virale. Differentemente dai vaccini tradizionali, quelli genetici non utilizzano un microorganismo inattivato o parte di esso ma il gene che codifica per l’antigene del microorganismo che si vuole neutralizzare. Per Sars-Cov-2, si è pensato di utilizzare il gene che codifica una proteina di superficie che permette l’ingresso del virus nelle cellule, la proteina “spike”. Questo gene, una volta entrato nelle cellule dell’organismo, induce la produzione della proteina specifica che a sua volta stimola la risposta immunitaria contro il coronavirus. Per trasferire il gene nelle cellule, la tecnologia messa a punto da “ReiThera” utilizza un adenovirus derivato da primati non umani che non provoca malattie nell’uomo, e che è stato comunque attenuato togliendo i geni che servono alla sua replicazione, sostituendoli con il gene della proteina “spike” del coronavirus. 

Una tecnologia non nuova giacché l’azienda di Castel Romano l’aveva già impiegata per mettere a punto un vaccino contro Ebola e contro il virus respiratorio sinciziale (rsv). Al momento le analisi si stanno eseguendo sui topi nell’attesa di partire con la sperimentazione umana.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 5 Gennaio 2021, 16:02
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