Fecondazione in vitro: le tecniche e le indicazioni scientifiche per aumentare i successi

Fecondazione in vitro: le tecniche e le indicazioni scientifiche per aumentare i successi

Il punto sulle evidenze scientifiche con il Prof. Ermanno Greco, Direttore Responsabile del Centro di Medicina della Riproduzione della Casa di Cura Villa Mafalda di Roma

Contenuto a cura di Piemme SpA Brand Lab in collaborazione con PROF. ERMANNO GRECO

Come raggiungere il successo con la fecondazione in vitro è ormai abbastanza chiaro e scevro da ogni possibile dubbio. Le ultime linee guida ESHRE, la società Europea della Fecondazione Umana, possono fornire un utile vademecum a tutte le coppie che si apprestano o hanno già intrapreso questa strada. Infatti, secondo i dati del Programma Europeo di monitoraggio della Fecondazione in Vitro, la possibilità di successo della fecondazione in vitro classica in cui l’embrione da trasferire in utero viene selezionato solo sulla base di criteri morfologici sono per trasferimento embrionario del 31,5% quando la donna ha meno di 35 anni, del 25,9% quando la donna ha più tra i 35 ed i 40 anni e del 10% quando la donna ha più di 40 anni (Wyns C et al., 2021). Questo accade perché una quota parte del patrimonio ovocitario femminile è sempre alterato cromosomicamente, anche quando la donna possiede un normale assetto cromosomico generale (cariotipo).

Questa percentuale generalmente è più bassa sotto i 35 anni ma dopo questa età aumenta in maniera significativa ed esponenziale. Pertanto, se si feconda artificialmente in vitro un ovocita che non è sano, si formerà di conseguenza un embrione non sano che, o non s’impianterà, o darà luogo ad un aborto. Non esiste infatti nessuna correlazione tra l’aspetto morfologico di un embrione e la sua salute genetica, pertanto anche il trasferimento di un embrione di ottima qualità morfologica non assicura il suo impianto. Grazie a numerose  ricerche si è potuto scoprire che anche nelle pazienti più giovani (età<35 anni), il 40-50% degli embrioni prodotti in vitro non è sano geneticamente: presenta cioè un alterato numero di cromosomi (aneuploidie) e quindi non è in grado o di impiantarsi o di dare una gravidanza evolutiva (Antonio La Marca and others, The number and rate of euploid blastocysts in women undergoing IVF/ICSI cycles are strongly dependent on ovarian reserve and female age, Human Reproduction, Volume 37, Issue 10, October 2022). Se si vogliono, quindi, prospettare ad una coppia maggiori possibilità di successo con la fecondazione in vitro, senza doverla sottoporre a molteplici tentativi, occorre effettuare un valutazione dell’assetto cromosomico dell’embrione, la cosiddetta diagnosi genetica preimpianto.
 

Questa tecnica consente di trasferire immediatamente, se è stato prodotto, l’embrione con maggiore capacità di successo. Il processo viene effettuato a livello di blastocisti (embrioni in V/VI giornata di sviluppo) prelevando 5-10 cellule dal trofoectoderma, ossia da quel tessuto che darà origine alla placenta, perché esse sono pressocchè geneticamente identiche (>98%) a quelle embrionarie. Questo tipo di biopsia, non essendo fatta direttamente sull’embrione come si faceva una volta, non ha nessuno impatto negativo sull’impianto dello stesso. L’importante però è che la biopsia venga effettuata in centri particolarmente addestrati su tale tecnica  perché una biopsia troppa invasiva, che prende cioè un numero eccessivo di cellule, può incidere sulle percentuali di impianto e sulla risposta dell’esame genetico. La recente tecnica di analisi cromosomica mediante NGS (Next Generation Sequencing) consente di valutare, a differenza delle precedenti, non solo tutti i cromosomi dell’embrione ma anche il DNA mitocondriale, la centrale energetica che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionario e poi fetale. Anche qui è importante il ruolo del laboratorio di analisi perché può influenzare il numero di embrioni sani che si identificano e quindi la cosiddetta percentuale cumulativa di gravidanza, ossia quella che si può ottenere facendo trasferimenti ripetuti.
 

I dati europei in maniera chiara evidenziano che le percentuali di gravidanza che si possono ottenere trasferendo un embrione sano sono del 68,1% se la donna ha meno di 35 anni, del 64,1% se l’età è compresa tra i 35 e 40 anni, del 58% se la donna ha più di 40 anni. Le percentuali di successo tra le due tecniche risultano ancora più evidenti se si considera la cosiddetta percentuale cumulativa di gravidanza, ossia quella che si può ottenere dopo due o tre trasferimenti embrionali (Reig et al., 2020). La  tecnica di diagnosi preimpianto risulta particolarmente valida per tutte quelle donne che presentano una elevata capacità di produrre ovociti con la stimolazione ormonale. Questo può essere valutato in maniera molto semplice preliminarmente mediante test in grado di misurare la riserva ovarica femminile, come la conta ecografica dei follicoli antrali ed il dosaggio ematico dell’ormone antimulleriano, cosa che il medico specialista dovrebbe fare fin dalla prima visita della coppia per poter esprimere correttamente le capacità riproduttive della stessa.

Oggi, la riduzione della riserva ovarica può essere contrastata dal punto di vista clinico da un particolare protocollo di stimolazione ormonale detto DUOSTIM. Questo protocollo consiste nell’esecuzione di due stimolazioni consecutive nello stesso ciclo (la seconda quattro giorni dopo il primo pick-up) al fine di prelevare più ovociti e quindi formare più embrioni e pertanto di aumentare in maniera statisticamente significativa la possibilità di formare embrioni sani cromosomicamente (Ubaldi 2016).
 

Una volta ottenuti embrioni sani cromosomicamente occorre però essere anche sicuri della qualità del “terreno” in cui si andrà ad impiantarli: questo terreno si chiama endometrio ed è il tessuto che riveste l’utero. Diversi studi scientifici hanno evidenziato che circa il 25% circa dei pazienti con fallimenti di impianto presenta un endometrio non recettivo, quello che in termine tecnico si chiama dislocamento della  finestra di impianto, generalmente un endometrio prerecettivo. Se si effettua un particolare test (Test di recettività endometriale) oggi siamo in grado di identificare esattamente la finestra di impianto e di indentificare il momento preciso in cui l’embrione deve essere trasferito, effettuando quindi un transfer personalizzato sulle caratteristiche di ciascun paziente. Un ulteriore impedimento all’impianto può essere determinato da un alterazione della flora batterica uterina e, in particolare, una diminuzione al di sotto del 90% della flora lattobacillare e/o la presenza di un endometrite cronica da trattare con adeguata terapia antibiotica. Anche tutto questo può oggi essere accertato con dei nuovissimi e modernissimi test genetici in grado di determinare con esattezza la alterazione microbiologica presente a livello uterino.

Per maggiori informazioni sulle tecniche e i processi di fecondazione assistita è possibile visitare il sito web www.ermannogreco.it o contattare il Centro di Medicina della Riproduzione della Casa di Cura Villa Mafalda di Roma: Tel. 06.86094776 - 06.86094797 oppure E-mail segreteriavillamafalda@icsiroma.it
Ultimo aggiornamento: Martedì 8 Agosto 2023, 14:13