Medicina, specializzazioni che vanno a ruba e quelle che nessuno vuole La lista

Medicina, le specializzazioni che nessuno vuole: quella d'urgenza, Chirurgia, Radiologia (e non solo) La lista

di Antonella Lanfrit

Prima mancavano i posti nelle scuole di specialità; ora ci sono, in alcuni casi sono raddoppiati, ma mancano i giovani medici che ne scelgano alcune: in Friuli Venezia Giulia dal 2018 «le borse di studio per i medici di medicina generale sono passate da 20 a 40 e non tutte sono utilizzate», aggiorna il vicepresidente della Regione e assessore alla Salute Riccardo Riccardi; all'Università di Udine su 18 posti disponibili per Medicina d'urgenza ci sono state 2 immatricolazioni. Non va molto meglio in Medicina interna: su 8 posti ne sono stati occupati 4. Per Geriatria 4 immatricolazioni su 6 posti, per Radiologia 10 borse di studio e 7 immatricolazioni. Non ha fatto il tutto esaurito neppure Chirurgia generale: 4 posti liberi su 14.


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«Nel breve termine dovremo affrontare un periodo di sofferenza», sintetizza il vicepresidente Riccardi, e la Regione non ha le competenze per agire sugli snodi critici che originano la situazione: «Le medicine di frontiera chiedono di avere una vita: percorsi di crescita strutturati, politiche retributive coerenti, condizioni di lavoro sostenibili. Tutti nodi che le Regioni, unanimemente, hanno chiesto al Governo e al Parlamento di affrontare già nella scorsa legislatura e che mi auguro si affrontino in questa».

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Medicina, come scegliere la specializzazione


Una lettura che si rispecchia nell'analisi del presidente dell'Ordine dei medici di Udine, Luigi Tiberio. Conclude che «nelle situazioni di crisi si possono trovare le soluzioni migliori e noi siamo a disposizione del legislatore per dare tutti gli elementi utili a elaborare strategie di concerto», ma l'osservazione del contingente non fa sconti alla realtà. «L'incremento significativo delle borse di studio in rapporto al numero di laureati in Medicina ha creato un'autostrada per chi deve specializzarsi: se può scegliere, legittimamente opta per la via che ha condizioni e opportunità migliori». E altre rimangono deserte o quasi. «È mai stata qualche ora ad osservare il lavoro in pronto soccorso o nell'ambulatorio di un medico di famiglia chiede alla cronista che l'interroga sulla poca inclinazione dei giovani per alcune specialità -. Le condizioni di operatività stanno diventando tali per cui non c'è più vita e il rischio di burnout è sempre più alto».

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Medici al limite del collasso

Una recente indagine tra i medici italiani «ha rivelato che il 35% nella fascia 35-45 anni vorrebbe andare in pensione», racconta Tiberio. «Il sistema regge per un generale senso di abnegazione, ma siamo al limite del collasso.

Entro il 2030, per esempio, andrà in pensione la metà dei medici di medicina generale in regione, circa 450, e il ricambio non sarà sufficiente». Come le Regioni, anche l'Ordine dei medici ha lanciato il suo grido d'allarme a Roma: «La medicina generale deve avere gli strumenti ottimali per fare il proprio lavoro, ora più burocratico che clinico», elenca Tiberio.

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Stipendio dei dottori


Per le criticità «nel breve dovremo inventarci delle soluzioni, per esempio con diversa attribuzione di competenze spiega Riccardi -: togliere al medico l'onere delle carte perché si concentri sul paziente. L'utilizzo della tecnologia può dare il suo contributo». Ma è sugli elementi strutturali che è attesa Roma: «In Italia un medico comincia a lavorare a 30 anni, in altri Paesi a 20; il sistema pensionistico fa uscire professionisti dal pubblico che il giorno dopo vanno a lavorare nel privato puntualizza -. La retribuzione, poi, è un aspetto importante: non si può pensare che professionisti che non hanno la possibilità di fare l'attività privata, come i medici di Ps, siano pagati al pari di quelli che la possono esercitare. Anche il luogo di lavoro, per esempio la montagna, deve essere considerato». A rimarcare i limiti d'azione della Regione, Riccardi ricorda che «le politiche retribuite sono legate al Fondo accessorio che sta in una legge dello Stato, la quale non ci consente, anche trovando le risorse, di poter incentivare infermieri e i medici». Non da ultimo, vi è «un'altra riforma incompiuta, che non è nelle competenze delle Regioni: il rapporto tra sanità pubblica e Medicina generale. La sanità pubblica conclude Riccardi - deve avere la possibilità, come non ha avuto nella pandemia, di poter chiedere alla Medicina generale di fare ciò che è nell'interesse del sistema pubblico, senza dover negoziare accordi sindacali».


Ultimo aggiornamento: Martedì 3 Gennaio 2023, 13:05
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