Marmolada, l'esperto: «Addio nevi perenni nel 2035, questo rischio si conosceva»

Il glaciologo veneto: «Temperature alte in vetta, così i blocchi congelati fondono»

Marmolada, l'esperto: «Addio nevi perenni nel 2035, questo rischio si conosceva»

di Nicoletta Cozza

Che la Regina delle Dolomiti fosse una sorta di paziente terminale in terapia intensiva, gli scienziati e gli ambientalisti lo avevano rilevato già nel 2005. Un’agonia confermata anche dai successivi monitoraggi, che avevano evidenziato un’accelerazione vistosa nella riduzione dello spessore del ghiacciaio. Mauro Varotto, docente al Dipartimento di Scienze Storiche e Geografiche dell’Università di Padova e operatore sulla Marmolada per il Comitato Glaciologico italiano, da 17 anni studia questa evoluzione negativa, culminata con il disastro di ieri.

Una tragedia che si poteva evitare?


«La situazione della Marmolada si conosceva, ma questo è un evento imprevedibile. In effetti, come dimostrano i filmati registrati dalla webcam che immortala quanto avviene in tempo reale, si vede chiaramente il distacco dalla parete di un grande pezzo di ghiaccio, che è precipitato rovinosamente, travolgendo le persone che si trovavano in quella direttrice. Si è trattato della caduta di un blocco che era sospeso sulla roccia e in forte pendenza».


Qual è stato il motivo che ha determinato questo fenomeno estremo?


«Le temperature estive troppo elevate in tutta la catena montuosa, vetta compresa, che rimangono sopra lo zero ininterrottamente per 24 ore, provocando la fusione del ghiaccio. Dodici gradi durante il giorno, e non meno di quattro la notte, determinano queste situazioni, con la massa glaciale che si stacca dal substrato roccioso e diventa instabile, come si è verificato ieri. Ci sono dei punti, che possiamo definire “pendenti”, maggiormente esposti ai crolli e che possono staccarsi da un momento all’altro».


Che cosa hanno riscontrato gli studi più recenti?


«Che c’è anche il problema della poca neve che è caduta e pertanto, anche quando fa freddo, non ci sono le condizioni sufficienti per preservare il ghiaccio. Purtroppo abbiamo estati troppo calde e quindi ci si trova di fronte a situazioni imprevedibili, perché sarebbe impossibile monitorare costantemente la montagna metro per metro».


Allora, che cosa si può fare?
«Ridurre le emissioni di co2, perché di sicuro non si possono mettere teli protettivi, come si fa sulle piste di sci, per fissare il ghiaccio. Se una persona ha la febbre alta, la soluzione non è posizionare in frigorifero il termometro con cui l’ha misurata, ma capire perché l’organismo accusa un rialzo della temperatura e quindi curarlo».


In questo caso chi è il paziente?


«Nella fattispecie è la terra che ha la febbre e necessita di “terapie” urgenti.

Intanto, dopo i monitoraggi dell’estate scorsa, è stata organizzata dal nostro Ateneo, e in particolare dal Museo di Geografia, una campagna glaciologica partecipata che si terrà il 27 e il 28 agosto, durante la quale andremo a prendere le misure del ghiaccio, lavorando in una zona sicura, cioè a Serauta alta. Effettueremo i rilevamenti in collaborazione con la Carovana delle Alpi di Legambiente per sensibilizzare la gente sugli effetti provocati dai cambiamenti climatici. Sarà un’iniziativa di grande rilevanza scientifica, ma anche di coinvolgimento della popolazione». 


E poi chi analizzerà i dati raccolti?


«Le misure saranno effettuate dal Comitato Glaciologico italiano di cui io faccio parte, che poi trasmetterà le informazioni al World Glacier Inventory, la banca dati mondiale sui ghiacciai».


Lei si aspettava che si verificasse questo crollo?


«A dire la verità sono rimasto stupito. Non mi aspettavo un crollo così importante, dati i volumi ormai ridotti del ghiaccio rimasto sulla Marmolada. Ormai siamo a meno del 25% di superfici e volumi rispetto a un secolo fa, ma nei punti a più forte pendenza il fenomeno potrebbe addirittura ripetersi, in particolare nell’area sotto Punta Rocca dove è avvenuto il distacco».


Questa è la fine della Marmolada?


«La media di riduzione della superficie del ghiacciaio nell’ultimo decennio è di oltre 9 ettari all’anno: considerato che si estende per circa 120 ettari, se prosegue questa tendenza è destinato a sparire entro il 2035».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Luglio 2022, 09:37
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