Partorisce nel water e va al bar col bimbo
morto in borsa: accusata di omicidio volontario

Partorisce nel water e va al bar col bimbo ​morto in borsa: accusata di omicidio volontario

di Adelaide Pierucci
Il bambino lo aveva ucciso al primo vagito, dopo avere partorito di nascosto. Del corpicino si era liberata con calma, il giorno dopo, buttandolo in un cestino della spazzatura.





Adesso Marika S. sarà processata dalla Corte d’Assise. La venticinquenne della Magliana, a febbraio dello scorso anno, dopo aver tenuto segreta la gravidanza, aveva dato alla luce un maschietto, lo aveva lasciato morire nel water, per poi nasconderlo in in un sacchetto di plastica, portarselo dietro in un bar, dove aveva appuntamento con gli amici, e gettarlo in un cestino del San Camillo quando, stremata, aveva chiesto soccorso. I magistrati l'hanno ritenuta sana di mente: il 25 settembre dovrà presentarsi sul banco degli imputati nell'aula bunker di Rebibbia, con la doppia accusa di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere. Il gip Luciano Imperiali, ha accolto la ricostruzione del pm Paolo D'Ovidio.



IL PARTO

Il piccolo era un maschietto di tre chili. Era nato vivo, alla trentotessima settimana di gravidanza, ed è stato soppresso, o meglio lasciato morire nel water dalla mamma, in quel momento in stato confusionale, ma in grado di intendere: è questa per ora la conclusione dei magistrati. La perizia sul feto, effettuata dal medico legale Costantino Ciallella della Sapienza, ha smentito la giustificazione dell'indagata: il bimbo non era nato morto. Il piccolo infatti avrebbe respirato e vagito. E non sarebbe morto per cause naturali, ma soppresso dalla mamma che aveva tenuto nascosta la gravidanza ai genitori e alla sorella, con la quale da qualche tempo conviveva. Ad aggravare la posizione dell'indagata anche i risultati della perizia psichiatrica. La giovane, infatti, non è risultata affetta da patologie gravi, ma solo da difficoltà emotive e caratteriali.



IL CESTINO

Il caso era scoppiato la sera del primo marzo 2013, quando al pronto soccorso del San Camillo si era presenta una ragazza in preda a una forte emorragia. I medici avevano capito subito che il parto era avvenuto poco prima, le avevano chiesto notizie sul piccolo, tanto che la giovane, dopo aver negato con forza l'evidenza, avrebbe parlato del cestino dove aveva lasciato il fagotto. L'allarme, scattato immediatamente, non ha consentito di salvare il bambino: nato e morto il giorno prima, il 28 febbraio. La giovane così era stata arrestata e piantonata in ospedale, poi era stata mandata ai domiciliari, in una casa per donne in difficoltà.



LE ACCUSE

Per l’accusa «L'imputata subito dopo aver partorito un figlio all'interno della propria abitazione, ometteva di prestargli e fargli prestare la necessaria assistenza medica, cagionandone in tal modo la morte». Ma la donna risponderà anche di occultamento di cadavere «perché - ha concluso il pm - dopo aver partorito il neonato ne infilava il corpo senza vita all'interno di un sacchetto di plastica che il giorno successivo riponeva in un cestino della spazzatura nel piazzale antistante al reparto di ostetricia del San Camillo, dove si era nel frattempo recata per far fronte all'emorragia che l'aveva colpita».

Secondo gli avvocati Antonio Iona e Stefania Ciliberto, la giovane non ha voluto provocare la morte del bambino. «Ha avuto un distacco improvviso di placenta accertato anche dalla procura - hanno sottolineato in udienza preliminare - e un immediato parto difficile. Neanche un’ambulanza con rianimazione neonatale avrebbe reso possibile la sopravvivenza. Lei ha avuto subito la percezione della morte del piccolo, nato cianotico».
Ultimo aggiornamento: Martedì 9 Settembre 2014, 18:10