Madia: "Linea dura con gli assenteisti,
ma per gli statali resta l’articolo 18"

Madia: "Linea dura con gli assenteisti, ma per gli statali resta l’articolo 18"

di Giusy Franzese
Avranno il diritto di difendersi e di spiegare, come è giusto che sia, e avranno anche il diritto al reintegro nel posto di lavoro, se il giudice riterrà che hanno ragione. In ogni caso se beccati in flagranza di reato, gli statali assenteisti saranno sospesi dal lavoro e dallo stipendio con effetto immediato, nel giro di 48 ore. «Se ti vedo che timbri per un altro, che timbri e vai a fare un altro lavoro, se hai la prova schiacciante credo che l'etica voglia che quelle persone vadano a casa senza stipendio in modo quasi immediato entro 48 ore, anche in difesa della maggioranza dei lavoratori pubblici che ogni volta fanno con dedizione e competenza il proprio lavoro»: ribadisce il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, confermando che mercoledì prossimo la norma farà parte del pacchetto decreti sulla pubblica amministrazione in Consiglio dei ministri.
Madia sgombra anche il campo da equivoci: il provvedimento non ha nulla a che fare con l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori anche nel settore pubblico (nel privato è già avvenuto attraverso il Jobs act). Bisogna essere «duri» con i dipendenti pubblici che sbagliano ma l’articolo 18 «non si tocca», dice. Una linea che il ministro ha sempre sposato, sin dal varo del Jobs act, ricordando le peculiarità del lavoro pubblico a partire dalle modalità di accesso (concorso e non chiamata diretta come avviene nel privato).

MAGLIE PIÙ STRETTE
L’annuncio del giro di vite sugli statali truffaldini e fannulloni ha infatti scatenato i fautori dell’estensione del Jobs act anche al settore pubblico (dall’ex ministro Maurizio Sacconi al deputato di Scelta civica, Gianfranco Librandi). Ma in effetti le due cose - furbetti puniti in tempo reale e reintegro sul posto di lavoro nel caso di licenziamento ingiusto e illegittimo - possono anche non essere sovrapponibili: il diritto al reintegro resta se il lavoratore licenziato convince il giudice che il comportamento di cui è accusato non è un reato, o quantomeno non è così grave da non poter essere sanzionato con una sanzione più leggera rispetto al licenziamento. Può succedere? I fatti passati ci hanno insegnato che sì, può succedere. Immagini sfocate, giustificazioni surreali ma che alla prova dei fatti risultano plausibili, avvocati bravi a cogliere ogni piccolo particolare a favore degli assistiti e vizi di forma così da arrivare alla prescrizione. Tutte situazioni che spesso in passato hanno riportato lo statale infedele al suo posto. Le nuove norme, promette il governo, saranno scritte in modo molto più chiaro e con maglie più strette. La possibilità di essere reintegrati nel proprio posto in base all’articolo 18, andrebbe quindi a ridursi sensibilmente.

Molti anche i commenti di chi sostiene che in realtà le norme per il licenziamento in tronco degli statali fannulloni esistono già. A partire da Forza Italia, che ne rivendica la paternità all’ex ministro Renato Brunetta. Renzi - dicono il senatore azzurro Lucio Malan e lo stesso Brunetta - «non si è inventato nulla di nuovo: chi viene colto in flagrante può essere licenziato già ora». Ma, come si è detto, la normativa attuale presenta qualche “buco” nella rete: tra i più rilevanti quello che fa rischiare di dover pagare risarcimenti ingenti di tasca propria ai dirigenti che avviano le procedure di licenziamento contro dipendenti poi reintegrati dal giudice. Un timore che fino ad oggi ha causato l’inerzia in questo campo dei dirigenti. La nuova norma eliminerà la possibilità dei risarcimenti (salvo i casi di dolo o malafede), ma in compenso il dirigente che sa e non agisce contro il dipendente scorretto, sarà a sua volta passibile di sanzioni.

Ultimo aggiornamento: Lunedì 18 Gennaio 2016, 14:14