Jobs Act, caos in aula: libri contro Grasso.
Fiducia nella notte con 165 sì e 111 no

Jobs Act, caos in aula: volano libri contro Grasso. Fiducia nella notte con 165 sì, 111 no e due astenuti

di Alessandra Severini
ROMA - È notte inoltrata quando il Jobs Act riceve il primo sì del Senato con 165 sì, 111 no e due astenuti. Fino ad allora una giornata interminabile caratterizzata da un clima ad alta tensione in aula, mentre il premier Renzi incontrava a Milano i leader europei per discutere di lavoro e crescita.



Le opposizioni hanno contestato con vigore e allungato i tempi dell'approvazione. Monetine sono volate sui banchi del governo mentre il ministro del Lavoro Poletti parlava ai senatori. Il presidente Grasso ha fatto fatica a tenere l'aula mentre il voluminoso regolamento del Senato lanciato dai banchi delle opposizioni lo sfiorava.







Alla fine la seduta viene sospesa fra urla e schiamazzi e il ministro deve smettere di parlare. I renziani a stento nascondono il malumore contro il presidente e sottovoce contestano la gestione dell'aula. Il premier appare molto teso accanto a Hollande e Merkel durante la conferenza stampa che ha chiuso il vertice europeo. Avrebbe voluto brindare al primo sì al jobs act, ma mentre parla nel tardo pomeriggio l'aula è ancora scossa dai tormenti del Pd e dalle proteste incandescenti di M5s e Lega. «Queste sceneggiate – attacca - mostrano una mancanza di serietà». Ai partner europei Renzi ha illustrato le linee guida della riforma del lavoro, incontrando il favore della cancelliera tedesca: «Sul lavoro l'Italia sta facendo passi importanti«. Per il resto, l'inflessibile Merkel, a parte dirsi pronta a discutere per usare meglio i fondi per combattere la disoccupazione giovanile, non ha fatto grosse concessioni.



A Palazzo Madama il sospirato sì arriva in nottata. Lo vota tutta la maggioranza, non senza tormenti. Nel Pd i civatiani Casson e Ricchiuti escono dall'aula. Walter Tocci lo aveva già annunciato: vota la fiducia ma si dimette da senatore: «Non sono stato eletto per indebolire i diritti dei lavoratori». La minoranza Pd si piega, ma in 36 firmano un documento in cui rinviano la battaglia alla Camera e contestano il ricorso alla fiducia.

Come previsto il maxiemendamento non fa cenno all'art. 18. Di fatto però il reintegro sarà previsto solo per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari solo in casi molto gravi. Solo un indennizzo invece nel caso di licenziamento ingiustificato motivato da ragioni economiche. Il contenuto del nuovo art 18 lo scriveranno però solo i decreti delegati. Il governo ha usato parole così generiche - “razionalizzazione e semplificazione delle procedure, anche mediante abrogazione di norme” - da lasciarsi grande libertà di azione. La parola abrogazione non fa stare tranquilli i difensori dell'art.18 ed è questo che più fa infuriare i dem.

















Tra le altre novità, sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato e l'abolizione dei co.co.pro.

La Cgil si prepara alla piazza e la Fiom, che ha manifestato a Milano proprio durante il vertice europeo, è già sulle barricate: «Occuperemo le fabbriche se continua la riduzione dei diritti», ha minacciato il leader Landini.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 9 Ottobre 2014, 11:06
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