​Vulcani, "supervulcani" ed eruzioni:
ecco la mappa delle zone a rischio

Vulcani, "supervulcani" ed eruzioni: ecco la mappa delle zone a rischio

di Paola Treppo
TRIESTE - Terremoti e vulcani. Come stanno il Nordest e l’Italia? I forti movimenti tellurici che si sono registrati nel 2016 fanno pensare e portano a farsi delle domande sulla condizione della Penisola e su quello che potrebbe accadere in futuro; in un futuro che non va inteso come prossimo ma i termini di millenni, perlomeno. Cerca di fare luce su questo delicato e complesso tema un eminente studioso del Dipartimento di matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, il professore Silvano Sinigoi.
 
Quali sono le aree nel Triveneto dove in passato ci sono stati dei vulcani?
«Nella nostra regione, il Friuli Venezia Giulia, c’è stata un po' di attività vulcanica circa 250-300 milioni di anni fa. Questo è testimoniato dalla presenza di rocce vulcaniche intercalate ai sedimenti in Carnia. Queste rocce hanno età comparabili con analoghe nelle Dolomiti: il porfido che affiora tra Trento e Bolzano e che viene usato per pavimentazioni esterne che ha circa 275 milioni di anni, e la zona di Predazzo-Monzoni, con minore attività, ha circa 220-240 milioni di anni. In Veneto ci sono i Colli Euganei, molto più recenti, che sta studiando l'Università di Padova».
 
Cosa vuole indagare e che importanza ha il suo studio in Piemonte per capire il meccanismo dei vulcani attivi?
«ll mio lavoro in Piemonte è iniziato circa 35 anni fa, in collaborazione con un gruppo di Modena. All’inizio studiavamo prevalentemente la zona Ivrea-Verbano, che è molto nota nella comunità scientifica per essere una sezione della crosta continentale profonda. In particolare studiavamo il “Complesso Basico”, che è un grosso corpo di magma basaltico intruso nella crosta inferiore. Poi, negli anni ’90, ho iniziato la collaborazione con Jim Quick, allora all’Usgs, ora all’Smu di Dallas.
I risultati di maggiore impatto sono derivati dal massiccio programma di datazioni che abbiamo iniziato nel 2000. Questi dati dimostrano che il complesso basico, i graniti intrusi nella crosta superiore adiacente e le vulcaniti che affiorano in Valsesia tra Borgosesia e la pianura Padana hanno tutti la stessa età: tra 290 e 280 milioni di anni. Inoltre abbiamo dimostrato che le vulcaniti rappresentano il riempimento di una caldera di almeno 15 km di diametro, un “supervulcano” di 280 milioni di anni fa. 
In pratica, in quest’area del Piemonte, lo scontro tra Africa e Europa ha fatto ruotare di 90 gradi la crosta africana con tutto il sistema magmatico sottostante al “supervulcano”, che, grazie alla progressiva erosione, oggi è esposto fino a livelli che all’origine si trovavano a profondità di almeno 25 km. Questo è un caso unico al mondo, dove possiamo osservare direttamente sul terreno cosa succedeva sotto un vulcano attivo fino a tali profondità. Questa scoperta ha dato un contributo fondamentale all’entrata della Valsesia nella rete di geoparchi dell’Unesco, nel 2013. Le ricerche continuano, portando a modelli di evoluzione del sistema magmatico che alimenta un vulcano. Nel nostro caso i modelli sono vincolati a dati e osservazioni su rocce magmatiche reali e non supposte teoricamente».
 
Quali sono le aree italiane dove ci sono vulcani attivi?
«L’Italia centro-meridionale tra cui ricordo Vesuvio, Campi Flegrei, Eolie e l’Etna».
 
In quali aree sarà più probabile si sviluppino nuovo vulcani in Italia?

«Nell’Italia centro-meridionale ci sono molti vulcani attivi o che hanno meno di 2 milioni di anni. È probabile che in futuro si sviluppino nuovi vulcani nella stessa area».
 
Che correlazione c'è, se esiste, tra terremoti e vulcani?
«Sismicità e vulcanesimo sono entrambi il risultato della dinamica della terra. L’Italia e l’intero Mediterraneo si trovano nella fascia di collisione tra Africa e Europa, quindi in una zona estremamente dinamica, come il Giappone o le Ande. Per fortuna i vulcani, e soprattutto le “supereruzioni” hanno una frequenza con periodi molto più lunghi dei terremoti, che sono il semplice risultato degli sforzi dovuti alla collisione tra masse continentali. In effetti, se sovrapponiamo la carta globale della distribuzione dei terremoti a quella dei vulcani attivi sono praticamente sovrapponibili».
 
Quanto influenza il clima la presenza di un vulcano attivo, di una caldera, di un vecchio cratere?
«Le eruzioni, soprattutto se molto consistenti, possono influenzare notevolmente il clima a causa delle ceneri fini che possono rimanere sospese nell’atmosfera a quote di 10-20 chilometri. Un esempio è stata l’eruzione del Tambora in Indonesia che nel 1815 ha causato un anno “senza estate” nell’emisfero settentrionale. Peggio ancora è stato il caso di Toba, una caldera di circa 60 Km di diametro, la cui eruzione, 70.000 mila anni fa, ha probabilmente causato una variazione nel Dna della specie umana, una quasi estinzione di massa. In Italia una caldera attiva a forte rischio è quella dei Campi Flegrei».
 
In che tempi può nascere un vulcano?
«In pochissimo tempo».
 
Quali sono le aree della terra dove ci sono vulcani attivi?
«Tutte le aree geologicamente attive, sia in zone di convergenza, cioè di subduzione, come le Ande e tutta la fascia circumpacifica, sia in quelle estensionali, come le dorsali oceaniche - l’Islanda è un affioramento della dorsale atlantica - o la Rift Valley in Africa».
 
La previsione delle eruzioni vulcaniche 
«Al contrario dei terremoti, le eruzioni possono essere previste in tempi ragionevoli. Gli studi che facciamo possono aiutare la comprensione di cosa realmente succede sotto un vulcano attivo e migliorare la previsione sul suo comportamento». 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 2 Novembre 2016, 10:32
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