Tiziana Cantone, i buchi delle leggi e l'indagine a rischio flop
di Gigi Di Fiore
Sedici mesi dopo l'iniziativa giudiziaria, schiacciata dalla mancanza di risposte e dalla depressione per il video a sfondo sessuale che continuava a proliferare in Rete, Tiziana si è suicidata. E la vicenda dimostra i limiti degli strumenti a tutela della privacy.
Un anno - L'esposto denuncia venne depositato per conto di Tiziana dall'avvocato Fabio Foglia Manzillo. Si indicavano i quattro uomini, cui, attraverso WhatsApp, Tiziana aveva inviato il video girato con il suo consenso. Gli indagati negano di aver pubblicato il video su Internet. E, tecnicamente, la cosa è possibile perché WhatsApp aumenta le possibilità di diffusione e, quindi, l'autore del primo «post» in Rete potrebbe essere stata persona diversa dai quattro indagati. Circostanza messa per iscritto da Tiziana, che ne ha informato il pm. Ma la ragazza chiedeva alla Procura di Napoli di oscurare i siti, suo vero obiettivo era bloccare l'ulteriore diffusione e moltiplicazione del video, non certo trovare il colpevole del primo «post». Una richiesta che il pm Milita, motivandolo, ha ritenuto giuridicamente non praticabile, soprattutto perché molti siti incriminati sono registrati all'estero.
Il garante - L'alternativa alla Procura poteva essere un ricorso al garante per la privacy, che avrebbe potuto intervenire con diffide sulle società proprietarie dei siti pornografici. Strada non seguita da Tiziana e dai suoi avvocati, anche perché il vero limite resta comunque la diversità di norme che, nei vari Stati, regolano la materia. Una delle eccezioni di Facebook nella causa civile d'urgenza proposta da Tiziana, così, è stata la competenza a decidere la causa che la società americana riteneva fosse in California. Il diritto all'oblio - Come hanno confermato molte dichiarazioni di funzionari della Polizia postale, la totale rimozione di dati dai server di Internet è praticamente impossibile.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 19 Settembre 2016, 09:02
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