Ruby, Mora vuole pena più bassa: no appello.
Il PG: "7 anni per lui e Fede, 5 per la Minetti"

Ruby, Mora vuole pena più bassa: no appello. Il PG: "7 anni per lui e Fede, 5 per la Minetti"
MILANO - Il sostituto pg di Milano Piero De Petris, accogliendo le richieste della difesa, ha chiesto una condanna complessiva a 7 anni e 3 mesi per Lele Mora nel processo d'appello 'Ruby bis', portando la pena inflitta in primo grado per i presunti festini ad Arcore da 7 anni a 5 anni e 3 mesi e aggiungendo 2 anni in continuazione per bancarotta. Il sostituto pg ha chiesto anche la conferma delle condanne inflitte in primo grado a Emilio Fede e Nicole Minetti, rispettivamente di 7 anni e di 5 anni di reclusione.



Lele Mora era stato condannato in primo grado per il caso 'Ruby bis' a 7 anni di carcere nel luglio del 2013 per i reati di induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile. Nel 2011, invece, l'ex talent scout aveva patteggiato una pena di 4 anni e 3 mesi per la bancarotta della sua società. Un cumolo di pene dunque che arrivava a 11 anni e 3 mesi.



Oggi il sostituto pg, accogliendo la richiesta della difesa di applicare una pena più bassa e in continuazione con la bancarotta, ha in sostanza chiesto ai giudici della corte d'appello di Milano uno 'scontò per Mora di 4 anni sulle due condanne. Il pg, infatti, ha chiesto 5 anni e 3 mesi per i reati relativi alle serate di Arcore a cui vanno aggiunti soltanto 2 anni per il reato di bancarotta per un totale di 7 anni e 3 mesi.



MORA RINUNCIA ALL’APPELLO Lele Mora, attraverso i suoi legali, ha depositato stamani all'udienza del processo di secondo grado 'Ruby bis' un atto di rinuncia parziale ai motivi di appello, tranne a quelli sulla determinazione della pena e sulla continuazione dei reati. Si tratta, in sostanza, di una sorta di patteggiamento.



Con questa scelta, in sostanza, Mora, condannato in primo grado nel luglio del 2013 a 7 anni per i reati di induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile per i presunti festini ad Arcore, non contesta ipotesi accusatorie, rinuncia ai motivi d'appello sul merito del procedimento e chiede ai giudici soltanto di rideterminare al ribasso la pena.



L'ex talent scout, attraverso i suoi legali, chiede anche che i reati per cui è stato condannato vadano «in continuazione» con la condanna a lui inflitta nel 2011 per bancarotta. In sostanza, secondo la difesa di Mora, infatti, l'ex impresario dei vip quando avrebbe indotto alla prostituzione alcune ragazze ad Arcore, lo avrebbe fatto per sanare, attraverso un prestito da parte di Berlusconi e con l'aiuto di Emilio Fede, i conti della sua società, anche se poi quei soldi furono distratti dalla stessa società, la LM Management.



L'avvocato Gianluca Maris ha chiarito che Mora aveva già anticipato questa scelta «a noi e al pg prima della sentenza dell'Appello sul caso Ruby a carico di Berlusconi nel luglio scorso». La scelta di Mora ha avuto il consenso del sostituto pg Piero De Petris e dovrà essere valutata dai giudici della terza sezione della Corte d'Appello, davanti ai quali sono imputati anche Emilio Fede e Nicole Minetti. Per oggi è prevista la requisitoria del sostituto pg.



“AD ARCORE ABUSO DI POTERE E DEGRADO” Nell'istanza con cui Lele Mora ha fatto presente oggi ai giudici del processo d'Appello 'Ruby bis' di voler rinunciare ai motivi d'appello, chiedendo in sostanza soltanto una pena più bassa, l'ex talent scout (oggi assente in aula perchè sua figlia ha partorito) ha riportato alcune parole da lui usate in aula nel processo di primo grado quando disse che il caso al centro del procedimento era segnato da «dismisura, abuso di potere, degrado». In quell'occasione, il 28 giugno +2013, Mora riferendosi alle serate nella residenza di Silvio Berlusconi, aveva parlato appunto di «dismisura, abuso di potere, degrado, tre parole - aveva aggiunto - che ho letto sui giornali e che condivido».



L'ex impresario dei vip aveva dichiarato inoltre di non essere stato solo «un passivo concorrente», di aver partecipato alle feste di Berlusconi, di aver portato alcune ragazze ad Arcore, anche se «non ho mai orientato le loro condotte con costrizione». Inoltre Mora aveva ammesso di aver «ricevuto un prestito da Berlusconi tramite Fede», aveva chiesto «scusa a tutti» e spiegato di voler «uscire da quella bufera infernale che mi ha tolto la luce». All'inizio dell'udienza di oggi i legali di Mora, gli avvocati Maris e Avanzi, hanno illustrato la loro richiesta e i giudici si sono riservati di decidere e probabilmente lo faranno con la sentenza. Intanto, il sostituto pg Piero De Petris, che ha dato il consenso all'istanza di Mora, ha iniziato la sua requisitoria.



DIFESA: MORA RECUPERA DIGNITA’ «Questa è l'uscita di scena di Mora da questo processo, lui ha recuperato dignità in questi anni». Così l'avvocato Gianluca Maris, che difende l'ex talent scout assieme al legale Nicola Avanzi, ha spiegato la «scelta fortemente voluta dal nostro assistito» di rinunciare ai motivi d'appello nel processo cosiddetto 'Ruby bis' tranne che per la parte riguardante la determinazione della pena. L'avvocato Maris ha chiarito che, poichè non esiste più la norma che prevede il patteggiamento anche nei processi d'Appello, questa può essere definita «una rinuncia parziale ai motivi d'Appello». Con questa scelta, secondo Maris, Mora conferma una sua condotta processuale che aveva già intrapreso, lui voleva essere processato allo stato degli atti e non contestava l'accusa«.



Il legale ha spiegato ancora che, con questa decisione, »Mora separa la sua posizione da quella di Emilio Fede e esce di scena dal processo, perchè ha recuperato dignità in questi anni, una dignità che negli anni precedenti, quelli al centro del procedimento, aveva perso«. A chi gli ha fatto notare che con questa decisione Mora potrebbe rischiare di tornare in carcere, il legale ha risposto che: »Noi dovremmo riuscire, attraverso meccanismi procedurali, ad evitare questo«.



“GESTIONE BORDER LINE DONNE” «La disinvolta gestione economica» della sua società, la Lm Management, e «la spregiudicata gestione professionale delle donne», gestione definita «border line», debbono essere «declinate congiuntamente» e i «frutti economici derivanti dall'attività di lenocinio attribuita al Mora» sono un «necessario contrappeso di quel tipo di gestione». Lo scrivono i legali di Lele Mora, gli avvocati Gianluca Maris e Nicola Avanzi, nelle note di udienza con cui hanno proposto la rinuncia parziale ai motivi d'appello per il loro assistito e chiesto alla Corte d'Appello di Milano di abbassare la pena per l'ex talent scout, valutando i reati contestati «in continuazione» con il patteggiamento per bancarotta del 2011.



Nell'atto depositato ai giudici la difesa sottolinea la «condotta processuale fortemente collaborativa» di Mora e chiede, oltre all'applicazione della continuazione, il «contenimento della pena nei minimi». I difensori evidenziano la «contestualità temporale delle condotte che riguardano l'attività economica del Mora con quelle di favoreggiamento ed induzione della prostituzione» e spiegano che la «ricerca e necessità di denaro» sarebbe servita per «evitare la dichiarazione di fallimento». Il lavoro «svolto dal Mora», secondo i legali, nella prospettiva accusatoria era «pienamente utile e strumentale rispetto ai reati connessi alla prostituzione» e lo stesso «coinvolgimento di Mora nelle indagini riguardanti le serate di Arcore è originato dai legami professionali dello stesso con le donne invitate a partecipare a quelle cene».



Nel quadro dell'accusa, infatti, sempre secondo la difesa, Mora avrebbe utilizzato la «sua attività professionale per individuare ed orientare le ragazze che poi si sarebbero vendute e prostituite». Ed è stato «il coinvolgimento di Mora nelle feste di Arcore» a condurre «all'implosione della sua vicenda imprenditoriale», anche perchè il talent scout spendeva per «creare l'immagine di una società ben collocata tra i locali ed i personaggi legati al mondo della moda e dello spettacolo». E, sempre secondo la difesa, «a fronte di queste spese» per la società «vi sono risorse non trasparenti e rilevanti che il Mora già si prefigurava come il ritorno non certo sinallagmatico derivante dalla sua disponibilità a farsi carico del compito di rendere le feste di Arcore gradevoli e ben accompagnate da donne piacevoli».



Questa attività, scrivono i legali, «collaterale alla sua professione, veniva svolta con lo scopo di rendersi quasi indispensabile per la buona riuscita di quegli eventi e proprio dalle intercettazioni telefoniche emerge che l'obiettivo era stato raggiunto ed invero più volte il signor Fede pone in luce questa qualità di Mora».
In sostanza, secondo la difesa, la «spregiudicata gestione economica della società trovava copertura anche nella gestione border line delle giovani donne interessate ad avvalersi delle entrature del Mora nel mondo dello spettacolo». Tutte le donne «indicate nel capo di imputazione», hanno aggiunto i legali, «erano anche clienti dell'agenzia gestita da Mora».

Ultimo aggiornamento: Sabato 11 Ottobre 2014, 11:19
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