Nino D'Angelo: "Dovevo fare il calzolaio, ora canto e recito senza giacca e cravatta"

Nino D'Angelo: "Dovevo fare il calzolaio, ora canto e recito senza giacca e cravatta"

di Mario Fabbroni
«Dovevo fare il calzolaio. Nel mio quartiere tutti diventavano calzolai. Era la massima aspirazione per uno nato nel 'o Pizzo Casale a San Pietro a Patierno, periferia Nord di Napoli. Invece sono Nino D'Angelo: cantante, autore, attore, ora perfino direttore di un teatro. Per questo canto e recito "Senza giacca e cravatta"...."
Dal 2 dicembre all'11 gennaio, le cose ritrovate da Nino D'Angelo sono al centro di uno spettacolo che vede Napoli ritrovare anche uno dei suoi teatri storici, il Trianon-Viviani, praticamente fallito dopo scelte poco assennate da parte degli enti pubblici ed ora - dopo una lunga chiusura - restituito "al popolo".
Perchè dal popolo e per il popolo lavora Nino D'Angelo nella veste di direttore artistico della struttura. Il Trianon l'aveva gestito anche un po' di anni fa e sembrava essere risorto definitivamente dalla proprie ceneri, il Trianon: ben 4500 abbonati, nemmeno in scena andassero i calciatori del Napoli. Una folla affezionata e fedele, popolare e festosa come una curva dello stadio. 



Ora si ricomincia. Circa settecento gli abbonamenti già venduti solo in un mese, con lo spettacolo "Io... senza giacca e cravatta" che apre la stagione prima di andare in giro per l'Italia. "Uno spettacolo così non me l’avrebbero mai fatto portare in scena prima, per troppi anni sono solo stato il cantante napoletano con il caschetto biondo... Invece stavolta reciterò e canterò come Gaber. La mia vita ambientata nel vicolo della casa dove sono nato. Ce l’ho fatta a essere altro, ad avere successo senza rinnegare da dove vengo». 
Un Nino D’Angelo mai visto quello di “Io… senza giacca e cravatta”?
«Inedito ma autentico come sempre. Il pubblico assisterà ad una rappresentazione teatrale più che a un musical: ci saranno mia madre e mio padre, gli amici d’infanzia, le persone che vivevano nel palazzo. E il vicolo, il mio vicolo, cambierà di volta in volta: come sono cambiato io, la mia musica, il mio sentire artistico».
Il vicolo che cambia pelle come metafora della Napoli e del mondo che è cambiato? 
«Proprio così. Tutto è nato grazie a Lucio Dalla, che mi chiese di portarlo da piazza Plebiscito alle zone della Napoli nascosta, mai vista. Scelsi di fargli conoscere il vicolo dove sono nato, ma non trovai più niente di veramente “mio”. Allora ho deciso di recuperare le origini, le persone, i ricordi che mi hanno portato fino a quello che sono oggi. Diciamo che potrei essere la speranza per coloro che sognano di cambiare destino».




Senza giacca e cravatta, quindi così come siamo davvero?
«Per andare avanti credo sia indispensabile fare molti passi indietro. Sono convinto che il progresso ci ha fatto perdere troppe cose, che dobbiamo ritrovare. Le emozioni, ma soprattutto la famiglia. Se i padri non parlano più con i figli, tutto crollerà presto. Ritroviamo il piacere di parlare a tavola e apprezziamo i valori antichi, invece. Il mondo è diventato più povero da quando pensiamo che la necessità sia quella di avere una bella vita, facile e virtualer».
Il Nino D'Angelo di "Un jeans e una maglietta", delle canzoni d'amore, proprio non c'è più? 
"Ho avuto grande successo fuori da Napoli perché in realtà non sono mai stato solo un cantante napoletano bensì l’interprete di tutto il Sud. Con il remake di "Un jeans e una maglietta" abbiamo fatto sold out ovunque. Per anni sono stato il vero terrone che arriva a Milano. Ma ora è il momento di cantare i colori della mia vita, gli odori che ho addosso, Sentirete come canto i “mostri sacri” della musica: da Sergio Bruni a Raffaele Viviani e Pino Daniele. Io sono sempre stato questo. Un venditore di emozioni».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 25 Novembre 2016, 09:22
© RIPRODUZIONE RISERVATA