Scampia, viaggio nella discarica rom
dove i topi mordono i bambini -Video

Scampia, nella discarica rom dove i topi mordono i bimbi

di Paolo Barbuto
È il fumo che fa da guida, basta seguirlo. Un fumo nero, acre, puzzolente, che invade l’aria e s’infila nei polmoni. Una roba densa che «senti» materialmente mentre aggredisce bocca e naso quando prendi fiato. Le pire appena spente dalla pioggia, bendetta pioggia, sono ancora piene di brace, così l’odore di gomma bruciata, di discarica in fiamme, di veleno, non si cancella.









Scampia non ne può più d’essere il simbolo del male assoluto «Mi raccomando, mo’ fate scoppiare anche un casino col campo rom, così diventiamo ufficialmente la fogna del mondo», dice quasi urlando Francesca che s’avvicina per capire, stavolta, cosa vogliono i giornalisti, qual è la schifezza di questo quartiere da raccontare oggi. La Scampia delle persone perbene vuol combattere contro i mali del campo rom ma non pensa, per adesso, di scendere in piazza; non viene nemmeno sfiorata dall’idea della giustizia sommaria come accadde quindici anni fa. Era il giugno del 2009, un rom investì due ragazze, il quartiere reagì con una violenza senza pari: prima spedizioni punitive a calci e pugni, poi una notte di molotov e paura, di baracche in fiamme e tensione. Il campo che guardava verso le Vele sparì in una notte. Ora è rinato, più esteso, più protetto.



Vedette all’ingresso, urla di segnalazione: c’è gente, andate a nascondervi. Così il percorso all’interno del campo diventa un giro in un paese fantasma colmo di pattume e avvolto dal fumo tossico, abitato solo da bimbi che, comunque, si fermano all’uscio e ammoniscono gli intrusi: che fate? Che volete? La gente di Scampia vorrebbe cercare strade legali, ufficiali, prestabilite per risolvere un problema che è immenso anche se, ufficialmente, non c’è, non esiste.



Come non dovrebbe esistere questo campo che è nato e s’è allargato fino a diventare un nuovo quartiere di Napoli. Tremila persone che vivono in baracche, altre s’aggiungono o vanno via ogni giorno, per cui il censimento è quasi impossibile. Tutti vivono al limite: al limite della vivibilità, della legalità, della tollerabilità. «Ho scritto per l’ennesima volta alle autorità chiedendo lo sgombero del campo e la bonifica di questa immensa area che è inquinata in maniera indelebile», tuona il presidente della municipalità Angelo Pisani. Lui non si rassegna alla rassegnazione del quartiere, vorrebbe il sostegno del popolo per la battaglia che gli pare di condurre in solitudine con un piccolo manipolo di tenaci. Racconta Pisani, dei problemi di vita quotidiani del quartiere, poi chiede verifiche sul campo. È vero: i bimbi della scuola Ilaria Alpi hanno le classi che affacciano sul campo e sui roghi.



E per «affacciare» s’intendono finestre che distano esattamente quattro metri dal veleno, separate solo da una recinzione di ferro; è vero: diecimila persone che vivono nel Lotto G, respirano direttamente i veleni che si sprigionano dai roghi del campo; è vero, un’uscita dell’asse mediano che potrebbe condurre direttamente a Scampia è materialmente bloccata dal campo: davanti alla rampa d’uscita ci sono una baracca dalla quale spuntano tanti bimbi, e almeno quattro carcasse d’auto «spolpate» e abbandonate a testa in giù; è vero: all’interno, e lungo tutto il perimetro del campo ci sono cumuli alti come un palazzi di due piani, sono quelli che, ciclicamente, vengono dati alle fiamme. E allora? qual è la soluzione? Pisani giura che entro lunedì prossimo, se non gli arriveranno risposte certe sullo sgombero del campo, andrà a incatenarsi lì davanti e ci resterà finché lo «Stato» non darà un segno di vita, di interesse. Dentro al campo, invece, i rom accusano «i vostri, gli italiani».



Ad ogni angolo, in mezzo al fango e alla disperazione, da una baracca spunta una donna che s’arrabbia per l’ennesima visita e le foto a ripetizione, e che spiega con veemenza: «Credete che noi, da soli, riusciremmo a produrre così tanta immondizia? Venite di notte, vedrete che traffico c’è di camion grandi e piccoli che vengono a gettare qui le vostre schifezze, quelle dei napoletani». La questione è antica, è accertato che in mezzo ai cumuli dei rom c’è anche tanta immondizia autoctona. Basterebbe un presidio fisso per scoprire gli avvelenatori e bloccarli: «Quando ho chiesto aiuto alle forze dell’ordine mi hanno detto che non potevo pretendere di avere pattuglie di controllo 24 ore su 24. Non ci sono uomini né forze a disposizione, perciò la gente di Scampia è costretta a riempirsi i polmoni di schifo e veleno», s’arrabbia Angelo Pisani.



È arrabbiata anche una mamma che vive in un tugurio a due passi dallo svincolo stradale negato alla città. Corre con foga verso la macchina fotografica, una bimba tra le braccia. Poi scopre la schiena della piccina che ha meno di un anno: «Guardate qui. I topi le hanno dato un morso sulla schiena - e i segni sulla pelle della bimba sono un gancio in pieno volto - queste bestie arrivano per colpa dell’immondizia. Non è colpa nostra. Non è colpa nostra».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 19 Novembre 2014, 09:29