Militare suicida a Kabul, la truffa dei mezzi blindati nel mirino della Procura

Militare suicida a Kabul, la truffa dei mezzi blindati nel mirino della Procura
Alla tesi del suicidio la famiglia Callegaro non aveva mai creduto. Ora, per i parenti del capitano morto in missione a Kabul, in Afghanistan, nel 2010, la giustizia potrebbe non essere un miraggio.

Il capitano Marco Callegaro - 37 anni, originario della provincia di Rovigo ma residente a Bologna, moglie e due figli - nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2010 venne trovato morto nel suo ufficio all'aeroporto di Kabul ucciso da un colpo di pistola. Era da poco tornato da una licenza in Italia. Il fatto era stato archiviato come suicidio, anche se i genitori del militare - che prestava servizio come capo cellula amministrativa del comando 'Italfor Kabul' - hanno più volte sollevato dubbi sulla drammatica fine di loro figlio.

In effetti, le indagini avviate dopo la morte di Callegaro - coordinate dal procuratore militare di Roma Marco De Paolis e dal sostituto Antonella Masala - hanno portato alla luce un presunto giro truffaldino messo in atto da alcuni ufficiali che, con i loro comportamenti, non avrebbero esitato ad esporre a rischio i loro colleghi. In particolare, i sei ufficiali avrebbero taciuto il dato della difformità del livello di blindatura di tre veicoli commerciali destinati al generale Italian Senior Officer, cioè l'ufficiale italiano più alto in grado in Afghanistan, rispetto alle caratteristiche pattuite nel contratto di noleggio con una ditta afgana.

L'intera pratica incriminata - corredata da un certificato di blindatura contraffatto - venne curata dagli uffici amministrativi di Kabul dove Callegaro lavorava. I fatti risalgono al maggio del 2010, quando gli uffici amministrativi del contingente italiano contestarono formalmente alla ditta di noleggio afgana il carente livello di blindatura dei tre mezzi. Nonostante ciò, qualche tempo dopo dagli stessi uffici arrivò il via libera al pagamento delle fatture per il noleggio delle tre vetture: quasi centomila euro per cinque mesi, dall'1 marzo al 31 luglio 2010. Così facendo gli indagati avrebbero procurato alla ditta afgana l'«ingiusto profitto» di 35.000 euro, pari al maggior canone pagato per il noleggio di tre veicoli meno blindati del pattuito, provocando un danno corrispondente all'amministrazione militare.

Il procuratore De Paolis si appresta a chiedere il rinvio a giudizio dei sei ufficiali per il reato di concorso in truffa militare pluriaggravata, un reato previsto dal codice penale militare di pace. Il quale però non prevede altri reati che, secondo gli inquirenti, potrebbero forse meglio descrivere i fatti avvenuti: a cominciare dalla possibile corruzione degli ufficiali coinvolti, la cui condotta illecita sarebbe altrimenti senza apparente movente. Su questo fronte, così come sulle circostanze della morte di Callegaro, i magistrati con le stellette hanno le mani legate: la competenza ad indagare è della procura ordinaria.

LA VEDOVA: ''PICCOLO TRAGUARDO'' «La Magistratura ha fatto un duro lavoro dopo cinque anni di indagini e, soprattutto, respingendo vari tentativi di archiviazione del caso in questione. Finalmente oggi siamo giunti ad un piccolo traguardo che sottolinea l'infondato suicidio». Lo dice Beatrice Ciaramella, vedova del capitano dell'Esercito Marco Callegaro, morto a Kabul nel 2010. È di ieri la notizia che la Procura militare di Roma, in un'inchiesta partita dalla morte di Callegaro, all'epoca archiviata come suicidio, ha indagato sei ufficiali per truffa militare aggravata per una vicenda che riguarda il noleggio di mezzi che avrebbero avuto una blindatura minore di quella prevista. Per la moglie del capitano, che a Bologna ha lasciato due figli, l'indagine è «un piccolo traguardo reso possibile dal lungo e discreto lavoro di De Paolis (Procuratore militare, ndr), dai suoi validi collaboratori e dal mio avvocato».
Ultimo aggiornamento: Martedì 29 Novembre 2016, 10:31
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