Pantani, tutti i dubbi dell'investigatore
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Pantani, tutti i dubbi dell'investigatore sull'inchiesta per omicidio

di Nino Cirillo
ROMA - Il vecchio investigatore, uno che questa storia di Pantani l’ha vissuta dall’inizio, scrolla le spalle: come nei film western: quando la leggenda incontra la realt, vince sempre la leggenda....



Sta per avventurarsi su un sentiero molto impervio, perché a Pantani vogliamo bene tutti, perché vorremmo davvero credere che non si è ucciso con la cocaina, che l’hanno ammazzato. Ma lui snocciola date, apre squarci della memoria, fa scomodissime pulci all’esposto che ha determinato la riapertura dell’inchiesta, per concludere che la verità, anche a voler rimanere cauti, resta ancora lontana. Lasciamo a mamma Tonina le sue giustificabili certezze («Mi hanno dato della matta e invece ho avuto ragione») e partiamo da una prima considerazione. La Procura di Rimini non poteva non aprire un fascicolo davanti all’esposto dell’avvocato De Rensis: lì dentro c’è una notizia di reato - l’omicidio volontario, appunto - e soprattutto c’è la perizia del professor Avato, un luminare nel campo. Ma per ora non c’è un provvedimento, non c’è un’indagato, non c’è un elemento che aiuti a capire in che considerazione l’esposto è stato preso. Se ne riparlerà a settembre.



L’INVESTIGATORE

Poi, nel merito. Il trascinamento del corpo, ad esempio, nella stanza di quel residence. Se ne è parlato come di un elemento decisivo a sostegno dell’ipotesi dell’omicidio. Niente di più fuorviante: «Il corpo -racconta il nostro investigatore- venne spostato dagli operatori del 118, di fatto rovesciato, per praticare a Pantani la defibrillazione, l’estremo tentativo di rianimarlo». E l’arrivo nella sua stanza di estranei, di quelli che «mi stanno dando fastidio»? Non ce n’è nessuna prova, anzi tutto conduce a ritenere il contrario: la porta venne ritrovata chiusa dall’interno, il portiere del residence dovette utilizzare un passepartout per aprirla e dovette anche spingere, perché c’erano degli oggetti ammassati all’ingresso. Pantani sembrava essersi barricato, come del resto era già accaduto qualche tempo prima nella casa di Saturnia. E’ vero, esisteva un ingresso secondario, ma sorvegliato da una videocamera della portineria. E nessuno ha notato nulla.



LA SENTENZA

Fa bene rileggere le motivazioni della sentenza che condannò i suoi spacciatori: «Pantani lamentava la presenza di estranei che nessuno ha visto e le cui voci nessuno ha sentito.... la percezione allucinata rientra del resto nelle distorsioni sensoriali innescate dall’abuso di cocaina». La cocaina, appunto. Pantani è morto per averne consumata una quantità superiore - o anzi, per essere stato costretto a berla, come induce a immaginare l’esposto - a quella che i suoi spacciatori sostengono di avergli consegnato. Come se gli assassini, poi, gliene avessero data dell’altra. Ma la spiegazione sembra molto più semplice: gli stessi spacciatori potrebbero non aver avuto il coraggio di raccontare quanta davvero gliene avevano venduta.

Costretto a berla, poi? Quella notte ci furono non una ma due ispezioni cadaveriche e nessuna delle due evidenziò «segni sulle labbra e sulle gengive riconducili ad una somministrazione forzata». Questo per dire che neanche sull’istante vennero trascurate altre piste. E la possbile colluttazione? Il primo processo viene sempre in aiuto: i due piccoli triangoli sul collo, come se qualcuno avesse premuto, risultarono soltanto macchie cadaveriche e le undici lesioni riscontrate, quasi tutte al volto, furono ricondotte agli «urti accidentali» nella caduta sul pavimento. Nessun truma o lesione ossea. S’è parlato molto anche della mancata rilevazione delle impronte, senza considerare che dieci anni fa si sarebbero potuti usare solo vapori di cianocrilato e che questi avrebbero cancellato tutte le tracce di cocaina nella stanza. S’è speculato sul fatto che non siano stati chiamati gli esperti del Ris dei carabinieri dalla vicina Parma: ma perché mai, visto che la Polizia scientifica stava già facendo quel lavoro? Il vecchio investigatore si concede l’ultima chiosa: «Se questi assassini avessero voluto far pensare all’overdose che bisogno avrebbero avuto di simulare tutto quel disordine?». Alla fine, la linea la dà Nibali, il campione che 16 anni dopo Pantani è riuscito a vincere il Tour de France. Il suo tweet: «Ricordiamo Marco per il campione che è stato. Aspettiamo per rispetto la certezza dei fatti prima di giudicare».



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Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Agosto 2014, 18:04