Antonio, licenziato dopo il trapianto: azienda costretta a ritirare il provvedimento

Licenziato dopo il trapianto: azienda costretta a ritirare il provvedimento
«Dopo l'operazione, per sopravvivere devo prendere 22 pastiglie al giorno. Sono il primo a rendersi conto di non poter più fare quello che facevo prima, ma ho dato la mia disponibilità a fare lavori d'ufficio anche con mansioni inferiori rispetto a quelle precedenti. Così, però, è una mancanza di umanità e di gratitudine: dopo 37 anni passati in fabbrica, di cui 27 in questa azienda, mi sento gettato via come uno straccio».

L'amarezza di Antonio Forchione è decisamente evidente e comprensibile. L'uomo, 55enne operaio metalmeccanico, otto mesi dopo aver subìto un trapianto al fegato è stato prima costretto alle ferie forzate e poi ha ricevuto la lettera di licenziamento dalla Oerlikon Graziano, azienda di Rivoli (Torino). Ha già incassato la solidarietà dei colleghi, che lo spingono a continuare a lottare e hanno scioperato per due ore contro il suo licenziamento. Tanto che la protesta, insieme allo sdegno conseguente alla diffusione della notizia, hanno ottenuto l'effetto desiderato: l'azienda ha ritirato il provvedimento.
«Tornato in fabbrica, i medici dell'azienda mi hanno giudicato inabile al lavoro» - spiega Antonio a La Stampa - «Chi mi aveva visitato dopo il trapianto, però, mi aveva giudicato idoneo. Chiedo solo che mi venga garantito il diritto di lavorare dopo aver dato una vita intera per quest'azienda».



Le accuse di Antonio nei confronti dell'azienda sono molto precise: «Quando il medico mi giudicò inabile al lavoro, decisi di rivolgermi a un avvocato. Da lì i rapporti si sono fatti sempre più tesi, fino al licenziamento. Ora i miei legali hanno impugnato il licenziamento». Quindi il colpo di scena. 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 9 Marzo 2017, 17:44
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