ADDIO A MONICELLI SU NOTE
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ADDIO A MONICELLI SU NOTE DI "BELLA CIAO"
Tra campane e 'Bella ciao', tra pugni chiusi e segni della croce, tra sorrisi e qualche lacrima, tra il silenzio generale e ricordi sussurrati ai microfoni di radio e tv, tra le note di Brancaleone e applausi discreti, il rione Monti, nel cuore di Roma, stamani ha dato l'addio a Mario Monicelli. Uno dei cittadini più illustri - insieme a Napolitano e sua moglie Clio - di quel dedalo di piccole ed antiche strade, piccole botteghe, dove resistono ancora i mestieri artigianali affiancati da negozi recenti più fashion, è stato salutato con semplicità, compostezza e affetto.

In piazza Madonna dei Monti, centro vitale del rione, punto di ritrovo la mattina degli anziani e a notte tarda fulcro della movida dei giovani, stamani ha visto la presenza di un unico popolo, di tutte le età, che amava l'artista ma soprattutto l'uomo che senza problemi, e soprattutto senza divismo, tutti i giorni si poteva incontrare in un negozio o in strada. Il feretro, rimasto all'interno del carro-funebre, alle 10 è stato accolto dalle note di una piccola banda del Pigneto, altro quartiere della capitale, composto da sei elementi, con le note di «Bella Ciao» e mentre c'era chi alzava i pugni chiusi, c'era chi si faceva il segno della croce. Contemporanemente Don Francesco, il parroco della vicina chiesa accoglieva «quella brava persona del regista» facendo suonare le campane «perchè quando muore una persona - ha poi spiegato - le campane servono ad avvisare il cielo che sta arrivando qualcuno».

Oltre alla moglie Chiara Rapaccini, c'erano pochi volti noti tra i quali Paolo Villaggio e i fratelli Vanzina. Il silenzio è stato interrotto soltanto da qualche applauso e da un paio di «Mario ci hai fatto divertire» urlati da singoli. Una rosa rossa e due garofani sono stati appoggiati sulla bara. Il maestro, in tanti lo sapevano stamani, non li avrebbe voluti. «A Mario sarebbe piaciuta l'atmosfera di questo saluto» ha spiegato la moglie. Un saluto un pò anarchico e un pò politico con il congedo accompagnato dalle note di Brancaleone e di nuovo le campane della chiesa. Come gli sarebbe piaciuto sapere che ieri gli studenti hanno esposto striscioni con «Ciao Mario. . . la rivoluzione la possiamo fare». E sarebbe stato pure contento che nel pomeriggio gli amici del rione, con l'architetto Cesare Esposito, quello della «nevicata» a Santa Maria Maggiore, per lui hanno organizzato una fiaccolata con conclusione davanti alla sua abitazione. Un loro striscione recitava: «Ignoti borghesi ladri e marchesi. . . hai raccontato tutti noi, ciao Mario».



FIORI E MESSAGGI FUORI LA CASA È diventato un piccolo altare alla sua memoria l'ingresso di casa di Mario Monicelli, in via dei Serpenti al civico 29. L'intonaco della facciata principale del palazzo rientra di poco più di un centimetro: lì gli abitanti del rione hanno messo le loro candele, accese, a partire dalla fiaccolata che si è tenuta nel pomeriggio. Poi ci sono fiori e biglietti dei monticiani: omaggi che si accumulano col passare delle ore



SALMA RESTA NELLA CASA DEL CINEMA La salma di Mario Monicelli resterà alla Casa del Cinema di Roma dopo la chiusura della camera ardente, prevista alle 17. 30. È la prima volta che questo accade. Solo domani mattina verrà portata a Prima Porta per la cremazione.



SCOLA: NON E' MORTO AFFATTO «Non sono per nulla triste, anche perchè Mario Monicelli non è morto affatto. Anzi è uno che ha scelto anche come morire, in maniera spavalda, come era lui». Così il regista Ettore Scola, oggi alla Casa del Cinema di Roma, dove è esposta la salma di Mario Monicelli, ricorda l'autore de La grande guerra. «Mario era uno spavaldo, sembra che abbia anche aggirato l'allarme alla finestra dell'ospedale per potersi buttare giù. Lui era così - ha continuato Scola -. Era uno silenzioso, come me, uno di poche parole tanto che eravamo capaci di stare insieme a cena dove volavano sì e no due o tre parole». E poi, commosso: «Il rapporto con lui è durato 60 anni, quando ero più giovane volevo somigliare a Steno e a lui. Una cosa è certa - ha sottolineato Scola -: molte cose che ho visto scritte sui giornali di Monicelli non le condivido e forse non le condividerebbe neanche lui. Mario non amava la retorica e non voleva neppure un funerale, anche se poi lo ha avuto ieri dagli studenti in lotta contro la riforma dell'università che hanno sfilato al grido: 'Mario facciamola questa rivoluzionè».



NAPOLITANO: RISPETTARE ULTIME VOLONTA' «Monicelli se n'è andato con un'ultima manifestazione forte della sua personalità, un estremo scatto di volontà che bisogna rispettare. È stato un grande del cinema, non solo italiano, e un uomo meraviglioso». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, fermandosi per un paio di minuti con i cronisti all'uscita della Casa del Cinema dove ha reso omaggio al regista, morto suicida lunedì sera. «Vivevamo nello stesso quartiere, quindi lo incontravo spesso. L'ultima volta - racconta ancora Mapolitano - la moglie mi aveva detto che le sue condizioni andavano a giorni, ma erano più i giorni buoni», ha aggiunto il Capo dello Stato. Napolitano ha anche detto che i suoi film preferiti di Monicelli sono «La grande guerra, ma anche Romanzo popolare».



MOGLIE: STUDENTI LO CITANO? NE SAREBBE FELICE «Mario sarebbe felice di sapere che è in collegamento con gli studenti». Lo ha detto Chiara Raaccini, moglie di Mario Monicelli, al termine della cerimonia laica che si svolta stamani nel rione Monti, parlando con i cronisti che le chiedevano un commento sul fatto che gli studenti scesi in piazza ieri avevano esposto striscioni con scritto: «Ciao Mario. . . la rivoluzione la possiamo fare». «Come gli sarebbe piaciuto - ha aggiunto - anche il 'clima politicò con le note di Bella Ciao durante questa cerimonia laica». Paolo Villaggio ha invece parlato del suicidio di Monicelli come di «una morte bellissima e coraggiosa. È stato un gesto di formidabile coraggio visto che non c'è l'eutanasia». Parlando del rione Monti, l'attore ha ricordato quanto il regista lo amasse: «Lo amo anch'io perchè Monti è la nuova Trastevere, ma più puro perchè lì sono arrivati gli americani». Nel pomeriggio i monticiani che hanno conosciuto il grande maestro si incontreranno alle 16. 30 in Piazza Madonna dè Monti e passeggiando per le vie amate dal regista lo ricorderanno accendendo cento fiaccole. L'iniziativa, promossa dal Rione Monti e dall'architetto Cesare Esposito, sfilerà in via del Boschetto, via Panisperna, via Baccina, via della Madonna dè Monti per arrivare, infine, in via dei Serpenti al civico 29 sotto la casa del maestro. «Un grande applauso ricorderà il suo prestigio, la sua umanità regalata - ha detto l'architetto Cesare Esposito - a tutti noi monticiani che da lui abbiamo ereditato la luce della cultura, perchè sempre accesa era nei suoi film».



LETTA: CI VUOLE RISPETTO Nel commentare le circostanze della scomparsa di Mario Monicelli, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, arrivato alla Casa del Cinema, ha detto: «Mi attengo all'invito del Presidente della Repubblica, ci vuole rispetto». «Gli ho personalmente voluto bene - ha aggiunto Letta - e come tutti riconosco la grandezza del suo lavoro. Mi dispiace che una persona che ha dato tanto agli altri, che ha fatto tanto ridere e sorridere, se ne sia andato tanto tristemente, in maniera amara. Spero che Dio, nella sua misericordia, possa restituirgli quello che aveva perduto». Letta ha anche ricordato quando, «ragazzino alle prime armi, intervistai per la prima volta Mario Monicelli alla vigilia di un festival di Venezia. Lui mi accolse con straordinaria simpatia, anche se appartenevo a un giornale di cui non condivideva le idee. Da allora abbiamo fatto un patto, che ad ogni film gli avrei fatto un'intervista, un impegno e una tradizione che abbiamo rispettato per molti anni. Tra noi è nato un rapporto d'amicizia che è continuato anche quando non mi sono più occupato di cinema e quando sono diventato direttore del Tempo mi ha fatto una bellissima telefonata: 'Anche se non ho le tue idee - mi disse - ti rispetto per la tua correttezza e ti faccio molti augurì. Non l'ho mai dimenticato».



VILLAGGIO: VORREI AVERE IL SUO CORAGGIO «La scelta di Mario Monicelli l'ho trovata straordinaria, eroica, magnifica. Io ero uno dei pochi che l'ha frequentato fino all'ultimo, lui non voleva vedere più nessuno ed era quasi ceco. Ha deciso che la sua vita finiva, che non voleva vivere altri tre anni come un vegetale, vorrei avere il suo coraggio». Lo ha detto Paolo Villaggio alla Casa del cinema, dove è arrivato per dare l'ultimo saluto al regista. Tra i tanti protagonisti del cinema italiano venuti oggi, c'è anche Pupi Avati: «Capisco come abbia avuto molto coraggio, nella sua scelta finale, era arrivato a un punto dove non riusciva a vivere con se stesso, la sua però non è eutanasia, ha deciso per se». Paolo Virzì lo ha ricordato così: «Abbiamo tutti imparato da Monicelli la concretezza del cinema, che non è fatta di fronzoli ma di esseri umani». Invece Mario Martone ha spiegato che «la sua parola era diventata luce dal punto di vista etico. Era una figura luminosa, socratica. Come regista italiano nel tempo ha preso una dimensione importantissima per tutti noi lo testimonia il suo cinema e la sua persona, il suo cosiddetto cinismo andava contro un sentimentalismo diffuso dietro cui spesso si nascondono malefatte». Fra gli altri sono arrivati anche Walter Veltroni, che non ha rilasciato dichiarazioni, e i fratelli Taviani.



NYT: ERA PADRE DELLA COMMEDIA Il New York Times ricorda oggi la figura del regista Mario Monicelli sottolineando come i suoi film agrodolci «che mescolavano umorismo e tragedia» abbiano fatto nascere il genere della commedia all'italiana. «Monicelli spesso veniva paragonato a Balzac per la ricchezza dei suoi ritratti sociali e per la sensibilità nel raccontare la gioia e le miserie della vita quotidiana degli italiani», ricorda il quotidiano. L'articolo sottolinea che nei 60 film diretti dal regista compaiono tutti i più importanti attori italiani e che Monicelli riuscì ad ottenere acclamate interpretazioni da una galassia di attori famosi come Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Monica Vitti.



ROTONDI: NESSUNO HA DIRITTO DI PROPRIETA' DELLA VITA «Mi spiace per l'on. Evangelisti, ma io non taccio perchè nè Monicelli nè alcun maestro su questa terra ha diritto assoluto sulla propria vita. A prescindere da ogni scelta religiosa. È tempo di ribaltare l'andazzo mediatico per cui la scelta del suicidio ha una qualche solennità tragica che presso i giovani può pericolosamente divenire un modello». Così il ministro per l'Attuazione del Programma, Gianfranco Rotondi, risponde all'on. Fabio Evangelisti.



SCONTRO SULL'EUTANASIA L'Aula della Camera ricorda Mario Monicelli con un applauso unanime; ma la commemorazione del regista, morto suicida in un ospedale romano, dà la stura a un dibattito sul fine vita. Gianfranco Fini definisce il regista scomparso«un personaggio illustre»- Walter Veltroni ricorda il personaggio «antiretorico e coerente, sottolineando che »l'ultimo atto della sua vita gli assomiglia«. Nessun accenno all'eutanasia; ma l'ex sindaco di Roma rileva che »Mario ha vissuto e non si è lasciato vivere; non si è lasciato morire« ed »ha deciso di andarsene«. La radicale Rita Bernardini coglie la palla al balzo, ed invita l'Assemblea a riflettere »sul modo in cui Monicelli ha posto fine alla sua vita. Quest'Aula dovrebbe riflettere su come alcune persone che non ce la fanno ad andare avanti sono costrette a lasciare la vita invece di morire vicino ai propri cari con la dolce morte«. E qui parte un dibattito. Con Paola Binetti dell'Udc, che sbotta: »Basta, per piacere, con spot a favore dell'eutanasia partendo da episodi di uomini disperati, perchè Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici ed il suo è un gesto tremendo di solitudine non di libertà«. Ed Enrico La Loggia (Pdl) attacca »l'elegia del suicidio da parte di Rita Bernardini«.



EVANGELISTI: ROTONDI SI INCHINI E TACCIA «Il ministro Rotondi, e quanti lo hanno preceduto e lo seguiranno, si limiti ad inchinarsi al genio del maestro Monicelli e taccia, evitando ogni considerazione velleitaria sulla scelta tragica del maestro di togliersi la vita, che stride proprio con quel senso di carità cui il ministro fa riferimento»: così Fabio Evangelisti, vicepresidente vicario del gruppo IDV alla Camera, commenta le dichiarazioni del ministo Rotondi. «Alle generazioni future rimarrà un tesoro inestimabile, gli straordinari film di Mario Monicelli e quel suo senso profondo di laicità vissuta in maniera quasi monacale che hanno ispirato la sua vita d'artista e di uomo», conclude Evangelisti.



NAPOLITANO ALLA CAMERA ARDENTE Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è appena arrivato alla Casa del Cinema di Roma per rendere omaggio a Mario Monicelli, il regista morto suicida lunedì sera. Ad accoglierlo sulla porta, il direttore della casa del Cinema Felice Laudadio e Giuliano Montaldo. L'ingresso alla Casa del Cinema per ora è stato chiuso. All'interno, vicino al feretro, ci sono le tre figlie del regista, Martina, Ottavia e Rosa, l'ultima compagna Chiara Rapaccini, il figlio di Martina, Tommaso, e Niccolò Monicelli, figlio di uno dei fratelli del regista, Nino. Prima di Napolitano alla Casa del Cinema era arrivato anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno.  Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, arrivato alla Casa del Cinema verso 12:40 per rendere l'ultimo omaggio a Mario Monicelli è ancora dentro. Dal suo arrivo è stato chiuso l'ingresso e la fila di persone in attesa di entrare si sta allungando. Tra quelli rimasti fuori, c'era anche Francesco Rutelli e Zeudy Araya.



PRESENTI CROPPI E VANZINA  Si è aperta da pochi minuti alla Casa del Cinema di Roma la camera ardente allestita per dare l'ultimo saluto a Mario Monicelli. Tra primi a rendere omaggio al regista, i fratelli Vanzina e l'Assessore alla Cultura del Comune di Roma Umberto Croppi.



SALUTO CON 'BELLA CIAO' A RIONE MONTI Nel rione Monti c'è stato un saluto laico per Mario Monicelli, con tanto di banda che ha suonato 'Bella Ciaò, ma anche con il suono delle campane della vicina chiesa. E non si è trattato di una coincidenza, perchè quando il feretro si stava allontanando da piazza Santa Maria dei Monti, dopo le note di 'Brancaleonè, le campane hanno suonato ancora. «Queste campane - ha spiegato il parroco Don Francesco - erano anche le sue, era una brava persona. Quando muore una persona le campane servono ad avvisare il cielo che sta arrivando qualcuno». E Don Francesco spiega che il film che gli è piaciuto di più è stato 'La Grande Guerrà. Sulla piazza c'erano tutti i negozianti e i residenti del rione; pochi i volti noti tra i quali Paolo Villaggio e i Fratelli Vanzina. A suonare le poche note di 'Bella ciaò e 'Brancaleonè, la 'Banda della Mensà del quartiere Pigneto, composta da sei elementi. Sulla bara solo tre fiori: una rosa rossa e due garofani. Tutti sanno che «a Mario non sarebbero piaciuti tanti fiori». Chiara, la moglie, ha detto che «a Mario sarebbe piaciuta l'atmosfera di questo saluto», composto, silenzioso e interrotto solo da due applausi e un paio di «Mario ci hai fatto divertire».



SOLO E DEPRESSO Nel vassoio della cena la minestrina, l'arrosto e la bieta del lunedì. Chi lo ha ritirato, alla fine, è fra le ultime persone ad aver visto Mario Monicelli in vita. Dieci minuti alle venti del 29 novembre. «Passiamo sempre così velocemente, non sapevo che fosse lui», si rammarica oggi. Novanta centimetri di parapetto, qualche minuto dopo, sono stati sufficienti a fare da leva al corpo smagrito e debolissimo del regista, perchè riuscisse a lanciarsi nel vuoto senza troppo sforzo, dal quinto piano del S. Giovanni di Roma. Il Maestro del 'Marchese del grillò è andato via, dopo la terapia delle 20, quando si è trovato, come sempre, da solo. Sul suicidio, la Procura di Roma ha aperto una inchiesta. «Mi sento abbandonato e depresso», avrebbe detto a qualcuno, in ospedale, quest'ultima volta. L'ennesimo ricovero, dopo anni di cure per un cancro alla prostata, era arrivato domenica. Ma il reparto di Urologia 2, dove si trovava da domenica scorsa, si blinda: «Per rispettare appieno la volontà della famiglia non rilasceremo alcuna dichiarazione», dicono prima il direttore generale Gianluigi Bracciale, poi il medico che seguiva da tempo il decorso del cancro, Gianluca D'Elia. Il piano è percorso in lungo e in largo, per tutto il giorno, dalla vigilanza. Mentre la famiglia difende i sanitari: «L'ospedale San Giovanni ha aiutato mio marito nel suo ultimo anno di vita come forse mai nessun altro», dice Chiara Rapaccini. «Voglio dire soltanto che io, la moglie, e tutta la famiglia Monicelli, vogliamo ringraziare chi ha fatto la cosa più straordinaria ed ha aiutato Mario nell'ultimo anno: sono stati vigili, attenti e meravigliosi», aggiunge. Le tre figlie filano via senza dire una parola, dopo una visita in mattinata alla camera mortuaria. Parla per tutti il nipote, Niccolò, figlio di uno dei fratelli del regista. È lui a spiegare che non ci saranno funerali, nè camera ardente «per Mario Monicelli». Lo chiama per nome e cognome, più di una volta, in segno di rispetto, mentre si commuove. Davanti al complesso dell'Addolorata, Niccolò lascia cadere ogni domanda sulla scelta dello zio: «Non abbiamo il diritto», esce dalla sua bocca, a un certo punto, mentre trattiene le parole. «Non è una tragica fine - replica a chi usa questa espressione - Ha vissuto fino in fondo: ha fatto quello che voleva, come voleva, e a differenza di altri, anche più volte nella vita». «Una persona semplice, normale, legato a tutte le persone. Di ricordi al Paese ne ha lasciati tanti, ricordatelo coi suoi film», aggiunge. Si sentiva solo e abbandonato? «Non so chi lo abbia detto e non ci interessa. Noi sappiamo come sono andate veramente le cose», risponde. In ospedale, però c'è chi non ha timore, nonostante i veti, di consegnare alla memoria degli altri l'immagine di Monicelli, 'pazientè. «Arrivò 5 anni fa, una barella fra le altre», dice Anna, tecnico radiologo. Le bretelle rosse, per tenere su i pantaloni, una enorme chiave di casa, in tasca, di quelle vecchio stile. Nessuna paura, niente che facesse pensare a un uomo aggrappato a qualcosa, a un dio: «Un uomo asciutto, coraggioso, sempre solo». Un anno fa lo videro «con gli occhi assorti nel vuoto, si era spento». Non era più quello che aveva scherzato coi radiologi, interrogandoli: «Di chi è Marchese del Grillo? Non lo sai, e sei di Roma?». Monicelli era però un uomo lucido. «Lo è stato di certo anche ieri. Ha fatto bene - secondo Anna - ha capito che mancava poco, e ha deciso lui».



LA MOGLIE: «VIVEVA IN UN MODO NON DIGNITOSO»  «Viveva in modo non consono alla sua dignità di uomo e ha deciso per conto suo senza avvertire nessuno, senza lasciar nulla di scritto, a parte il dire a voce che era stufo, si chiedeva che vita fosse». Così, intervistata dal Corriere della Sera, Chiara Rapaccini racconta gli ultimi giorni e i pensieri di suo marito Mario Monicelli, maestro del cinema italiano che si è tolto la vita lunedì sera a 95 anni nell' ospedale romano di San Giovanni. «Alla fine - spiega - ha preso una decisione forte e coerente come sempre da uomo coraggioso e noi familiari la consideriamo tremenda ma la rispettiamo». La moglie del regista sottolinea che in ospedale «è stato coccolato, curato e lui ha voluto andarci non per urgenza ma perchè diceva di sentirsi a casa». «A 95 anni - prosegue - il corpo cedeva ma la mente era lucidissima e perciò era stufo di questo Paese, disgustato nel sentire ciò che veniva raccontato dalla radio, sua unica fonte di informazione, perchè non ci vedeva più. Questo disgusto era diventato un malessere fisico, si trovava in un mondo vile che andava contro i suoi principi, ma lui vile non lo era e l'ha dimostrato». Monicelli è morto suicida come il padre, ma «in modi e per motivi diversi», spiega la moglie, certo «è vero che Mario fu presente alla morte del padre e ne rimase certo scioccato». Il mondo del cinema, aggiunge Chiara Rapaccini, non lo ha abbandonato: «Avevano formato un cordone protettivo, mi chiamavano tutti, da Scola ai Taviani per andare a trovarlo ma se mai era lui che si era un pò staccato: s'interessava alle lotte per la cultura ma non più alle beghe del cinema, le serate, i premi, era storia del passato e si stupiva che i nostri film raccontassero poco l'Italia di oggi».  



MONICELLI NATO A VIAREGGIO Nato, il 15 maggio del 1915 a Viareggio, figlio del critico teatrale e giornalista Tommaso, dopo la laurea in storia e filosofia a Pisa Mario Monicelli - il regista che si è ucciso questa sera a Roma, esordisce nel cinema nel 1932 con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. Padre, con colleghi come Dino Risi, Luigi Comencini e Steno, della commedia all'italiana, è stato regista di circa 66 film e autore di più di 80 sceneggiature. Fra i suoi grandi successi, Guardie e ladri (due premi a Cannes nel '51), nel pieno del suo sodalizio con Totò; I soliti ignoti (nomination all'Oscar), La Grande guerra (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d'oro; L'armata Brancaleone (1965). Sono gli anni dell'amicizia con Risi, degli scontri con Antonioni, del controverso rapporto con Comencini, del trionfo della commedia all'italiana e dei 'colonnelli della risatà. Inventa Monica Vitti attrice comica in La ragazza con la pistola (1968); nel 1975 raccoglie l'ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei. Nel 1977 recupera la dimensione tragica con Un borghese piccolo piccolo. Seguono fra gli altri Speriamo che sia femmina (1985) e il feroce Parenti serpenti (1993) con cui dimostra di saper leggere le trasformazioni della società italiana con l'acume e la cattiveria di sempre. È del 2006 il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive, con Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d'Albania di Giancarlo Fusco. .
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 1 Dicembre 2010, 21:29
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