Napoli, i 70 anni di Bassolino:
«Sindaco per sempre»

Napoli, i 70 anni di Bassolino: «Sindaco per sempre»

di Titti Marrone
Dice che spesso i napoletani incontrati durante le sue camminate - sostitutive della corsa da quando, correndo, si è fratturato una mano - lo chiamano ancora sindaco. Che quell'esperienza, cominciata nel dicembre 1993 e durata sei anni e mezzo, è stata e resta la più importante della sua vita. Spunta sempre, quel passato, nell'intervista a Antonio
Bassolino sul settantesimo compleanno che a lui non par vero e invece verrà domani. Il passato da primo cittadino si allinea al presente, proietta un riflesso sul futuro. Ma sulla domanda tra quattro anni ti ricandideresti ancora?, preferisce glissare. Allora partiamo dall'età che oggettivamente non gli attribuiresti. E dalla vecchiaia, che Cicerone descrisse nel De Senectute come fase felice, quando aveva sessant'anni.

C'è qualcosa di bello nell'invecchiare?
«Magnificare la vecchiaia mi sembra eccessivo, ma serve vederne la parte positiva con le parole di Claudio Napoleoni: l'importante è cercare ancora. Mantenere curiosità per la vita. Non attardarsi a sognare un mondo bellissimo che non c'è più, rispettarlo ma senza nostalgia, con il cuore che segna il ritmo giusto. Ma la testa deve stare sempre avanti».
A 16 anni eri già segretario di sezione. Hai mai pensato di esser diventato adulto troppo presto, di esserti perso qualcosa?
«Come no. Io sono stato più vecchio della mia età quando ero ragazzo e forse è per questo che ora mi sento meno vecchio. Anzi, se devo dire la verità, a 70 anni non mi sento affatto vecchio. Per buona parte della giovinezza mi sono dedicato allo studio e alla politica sacrificando aspetti privati: la prima fidanzata l'ho avuta dopo i vent'anni. Ero sempre io il più giovane: da segretario di una federazione, in comitato centrale, poi in direzione, quando a farne parte erano figure mitiche. E ho frequentato sempre persone molto più grandi».
C'è qualcuno tra i tuoi maestri di cui più oggi senti la mancanza?
«Ingrao, che mi ha insegnato il pensiero critico. Berlinguer, il rapporto con le persone reali. Amendola, la determinazione e la voglia di dare battaglia».
In politica quando si diventa vecchi e da che cosa si capisce che è ora di mollare?
«In Italia per un lungo periodo molti hanno continuato a fare politica fino a tardissima età, quando era ora di smettere, e questo ha prodotto danni. Quindi, il bisogno di rinnovamento è stato più forte che in altri Paesi. Anche per questo ho guardato con simpatia alla discesa in campo di Renzi, nonostante il termine rottamazione' mi suonasse un po' eccessivo: si dice per le macchine, gli oggetti, non per le persone. Partendo da un'esigenza reale, è stata una delle ragioni per cui Renzi è riuscito a crearsi un consenso forte. Poi, paradossalmente, i casi di rottamazione, o auto-esclusione, sono stati pochi, determinati da Bersani più che da Renzi, rottamatore più di nome che di fatto».
A parte i maestri, in politica serve talento e tu nei comizi, vecchia forma d'arte della politica, pur con la tua inclinazione a balbettare sei diventato abilissimo: per vocazione o forza di volontà?
«Ha contato la forza di volontà. Ma anche la politica intesa come la intendo io, cioè come rapporto con tante persone. Fin da ragazzo mi porto dietro una timidezza, una naturale inclinazione al riserbo. I comizi erano la forma con cui, nel rapporto di massa, la vincevo. Più persone c'erano, meglio mi venivano. E mi preparavo, sempre, con schemi di appunti. Io vengo da un'altra storia e ancora impazzisco se vedo un politico su un palco parlare senza preparazione. Il comizio è anche costruzione intellettuale e culturale, da modulare cambiando toni e impostazioni in base alle facce che si hanno davanti».
Forza di volontà ce ne vuole anche per vincere l'astinenza da 5 pacchetti al giorno di Winston, eliminati dal 2003. Ma come si affrontano le crisi di astinenza dalla politica dopo esser stato sindaco per sei anni e mezzo, per dieci presidente della Regione?
«Tutte le crisi di astinenza si vincono dandosi altri interessi che occupino mente e corpo. A volte non si ha scelta, come quando, dopo l'intervento alle corde vocali, il medico mi disse che ero arrivato a un punto limite e dovevo smettere di fumare. Ho ripreso il tennis, poi ho scoperto la corsa, dandomi obiettivi ambiziosi. Dopo i 65 anni ho fatto la maratona di 45 chilometri, con una preparazione di cinque mesi, con una certa alimentazione, controllo del peso, del corpo e della mente. Quanto alla politica, la si può fare in diversi modi, come impegno culturale, scrivendo libri, nei dibattiti organizzati alla Fondazione Sudd».
La montagna è un'altra scoperta dell'età, che hai raccontato ne Le Dolomiti di Napoli. Lì hai imparato, dopo una brutta emorragia, a alternare la passeggiata veloce con quella lenta: pratica esportabile in politica?
«Certo. È dal 28 marzo 2010 che non ho più cariche né istituzionali né politiche e ho affrontato la montagna, come la corsa, allo stesso modo di un grande impegno politico. Governare corpo e mente è stata e resta una sfida con me stesso».
Ora è tua moglie che ha gli impegni istituzionali, i calendari delle vacanze si decideranno più sulle sue scadenze. Ti pesa mai?
«No. Il nostro legame va molto al di là di questo, e anche della presenza fisica, e inoltre Roma e Napoli sono vicinissime. Poi ci sono i gatti, per i quali condividiamo un forte affetto. Ora, Ginger e Fred, tutti e due maschi, e diversissimi: uno tranquilli, pacioccone, l'altro sensibile, con un rapporto speciale con Anna Maria, che dopo una fuga durata cinque giorni, lo ritrovò a via Manzoni grazie al legame che ha con lei».
L'amore per i gatti è un rifugio contro le delusioni provocate dagli uomini?
«Forse sì. Poi, a differenza di quel che si dice quando li si confronta ai cani, i gatti hanno un'enorme affettività. Torni a casa li trovi ad aspettarti, alla finestra».
Parliamo del fuoco amico in politica. Ti ha bruciato di più quello venuto dal tuo partito ai tempi della crisi dei rifiuti o quello del rigetto dei ricorsi contro le primarie a Napoli?
«Durante la crisi dei rifiuti mi sono sentito spesso solo. E solo mi sono sentito anche durante e dopo il lungo processo da cui sono uscito pienamente assolto. Nella sentenza i giudici non si sono limitati a prendere atto che i reati dopo tanto tempo fossero caduti in prescrizione ma hanno fatto l'impegnativa scelta di un'assoluzione nel merito, punto per punto. Sono rimasto molto colpito per come non si sia detto con forza, da parte di molti dirigenti nazionali, quel che sarebbe stato giusto: prima, visto che ci conoscevamo da tanti anni, che Antonio Bassolino non poteva aver fatto niente di illegale. Poi, dopo la sentenza di piena assoluzione, di essere contenti per Bassolino e per il partito. Renzi era già segretario, non mi ha mandato nemmeno un sms».
Un'avvisaglia del fatto che a Napoli, per la sfida a de Magistris, Renzi ti avrebbe preferito la tua ex figlia politica Valeria Valente?
«È stata tutta una vicenda paradossale che ha fatto sì che le comunali portassero il segno della sconfitta del Pd. Avrei dato tutt'e due le mani allora entrambe buone per contribuire a individuare insieme quattro, cinque candidati per le primarie. È passata l'estate, poi l'autunno, poi ho deciso di candidarmi perché mi era chiaro che bisognava muoversi, perché tutto giocava a favore di de Magistris. Ho sentito che potevo farcela, che sarei andato al ballottaggio e ci sarebbe stata una bella battaglia».
Invece, le primarie con gli euro distribuiti ai seggi, con l'antico compagno Borriello che aveva officiato il matrimonio tra te e Anna Maria, passato dalla parte di Valeria Valente.
«Ho vissuto la vicenda degli euro ai seggi con dolore. Perché sentivo di avere le energie fisiche e mentali per fare di nuovo il sindaco, forse meno energie della prima volta ma più maturità. È stato un dolore grande anche per alcuni comportamenti che, sbagliando, non avrei mai pensato di riscontrare. Avevo detto alla Valente, che avevo sempre sostenuto, che avrebbe potuto fare il vicesindaco e intanto curare i rapporti con il Parlamento dove era già, crescendo, rafforzandosi. Poi essere sindaco sarebbe toccato a lei. E non avrei mai pensato che Andrea Cozzolino si sarebbe potuto comportare come ha fatto. Non sono stati messi avanti gli interessi di Napoli né quelli della politica».
Dopo il pasticcio delle primarie, Renzi aveva promesso d'intervenire a Napoli con il lanciafiamme, ma, hai scritto su Facebook, non si è visto nemmeno un cerino. Intanto è esploso il caso delle candidature false a sua insaputa nelle liste della Valente, poi l'altro delle tessere false E il Pd a Napoli è all'11%. Chi ne ha più colpa?
«C'è una grande responsabilità nazionale. Napoli è stata scambiata con Roma in un gioco di correnti interne al Pd. Giachetti nella capitale in cambio di Valente a Napoli per contentare i giovani turchi. Ed è stata una scelta autolesionistica che ha prodotto il colpo più grave alle amministrative per il Pd».
Si sono preferiti i salotti ai territori, dove sedi storiche come Castellammare hanno dovuto chiudere?
«Non si può dire neppure questo: quando ci si riduce all'11% non si rappresentano più neppure i salotti. Si è una forza ininfluente, irrilevante. Il Pd si è suicidato. E di sconcertante c'è che non si è ancora ricostruito politicamente quel che è successo. Ma il Pd pensa davvero di poter trattare Napoli in questo modo?».
E Napoli risponde vedendo in de Magistris l'unica alternativa?
«Certo un anno fa de Magistris era più in difficoltà e sarebbe stato possibile batterlo alle elezioni Ora, più scende il Pd ed è in crisi il centrodestra, più lui, anche se sta fermo, appare rafforzato rispetto a un anno fa. Ma io credo che, semplicemente, non si comporti da sindaco. Si è visto bene nella terribile, emblematica giornata di sabato 11, quando è venuto Salvini e Fuorigrotta è stata messa a ferro e fuoco. C'era una paralisi dei trasporti, la città era immobilizzata. E con tutto ciò si pensava a Salvini, a una faccenda tutta ideologica. I centri sociali hanno fatto la loro parte, i Black block hanno fatto i Black block, lo Stato ha fatto lo Stato il sindaco non ha fatto il sindaco».
Napoli è scossa dall'inchiesta degli appalti truccati, impressionante per l'alto numero di imprenditori, professionisti, accademici coinvolti: c'è un problema con la magistratura o con tutta la classe dirigente cittadina?
«Come si fa a dirlo senza conoscere a fondo una vicenda così complessa? Ci sono passato anch'io ma su me mi sentivo tranquillo. Quest'inchiesta colpisce per la quantità e la varietà di figure che tira in ballo, ma bisognerà ragionare caso per caso e confidare nella giustizia. A Napoli tante inchieste si sono concluse con un nulla di fatto, ma è anche vero che ne sono state fatte di tutti i colori».
Nell'intervista che mi rilasciasti per Il sindaco, il libro sul tuo primo mandato uscito da Rizzoli nel 1996, mi dicesti: essere sindaco di Napoli è e sarà la cosa più importante che farò. Lo pensi ancora, e credi che i napoletani non sovrappongano più la tua immagine a quelle del disastro dei rifiuti?
«Sì, lo penso ancora. Io ragiono sempre da sindaco. Quando a Napoli c'è una cosa che va bene, sono contento, quando la città è in sofferenza, mi addoloro. Ed ero pronto, sarei stato pronto a scendere ancora in campo per dare una mano. Ho sofferto, io solo so quanto, per il processo e per tutto il resto. Ma ho combattuto e continuo a cercare, a mantenere una gran curiosità per quel che si muove, che cambia. Cammino molto per Napoli, visto che non posso correre per la mano rotta. La gente che incontro per strada, otto volte su dieci, mi chiama ancora sindaco e penso abbia capito».
Ultimo aggiornamento: Domenica 19 Marzo 2017, 10:06