«Io dottoressa insultata e minacciata in corsia a Napoli. Ho paura: così non si può lavorare»
di Ettore Mautone
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LA DINAMICA
«Ero giunta al lavoro per il turno di pomeriggio alle 14,30 - racconta - il reparto era affollato, i 36 letti tutti occupati e alcune barelle. Ero in medicheria per un ricovero di un bambino che proveniva dal pronto soccorso. Ad un certo punto ho sentito un gran trambusto provenire dal corridoio. Sono uscita e ho visto che un signore, il padre di un piccolo paziente ricoverato, offendeva pesantemente un'infermiera». Una reazione collegata alla richiesta di trasferire il proprio figlio, un lattante di 45 giorni, in altra stanza in quanto un altro ricoverato vomitava. «In ospedale arrivano bambini che stanno male. Non c'era rischio di alcun contagio e il lattante lo avremmo comunque trasferito. Poco dopo ho effettuato una dimissione e avremmo provveduto. Ma quell'uomo non ascoltava nulla e nessuno. Da pediatri siamo abituati a fronteggiare la tensione genitoriale ma in questo caso si è andati molto oltre qualunque soglia sforando il passaggio all'atto. Ho chiamato le guardie giurate».
«SALVA GRAZIE ALLA SECURITY»
Quando gli uomini della security sono arrivati l'aggressore si è precipitato in medicheria come una furia. «Ero dietro la scrivania - ricorda la dottoressa - ho cercato di salvare l'infermiera e ammetto di essere stata io a dare l'allarme. L'aggressività di quell'uomo è giunta alle stelle. È andato fuori controllo, rosso in viso mi ha minacciato di morte più volte con offese di ogni tipo. Ho mantenuto la calma ma ero spaventatissima. Per fortuna c'erano le guardie giurate. Sarebbe potuto succedere qualunque cosa». La polizia, giunta sul posto, non ha trovato nessuno, l'orario di visita era intanto terminato. «A quel punto sono crollata - conclude la pediatra - sono scoppiata a piangere, con me c'era ancora il bambino che dovevo ricoverare, a 8 anni anche lui era in preda a una crisi. Ho avuto la solidarietà di tanti genitori. Ho terminato il turno e chiesto di essere prelevata da amici per tornare a casa. La notte non ho chiuso occhio». Il bambino figlio dell'aggressore è stato poi dimesso il giorno dopo: «L'avevamo curato benissimo. Nessuno mi ha chiesto scusa. Dopo un episodio del genere resta una cicatrice nell'anima per la carica di violenza che ti ha sforato».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 3 Gennaio 2020, 08:56
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