Ucraina, l'ex comandante del gruppo Wagner: «Rifiuto di combattere, ora si scambia il patrottismo con i dollari»

Gabidullin: "Il Donbass la nostra causa sbagliata"

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di Riccardo De Palo

«Non volevo più combattere contro i miei fratelli. Soprattutto, avevo capito che l'Ucraina era lontana dall'aver completamente torto e la Russia dall'essere irreprensibile». È stato nell'estate del 2015, in missione come mercenario a Lugansk, nel Donbass, che Marat Gabidullin comincia a porsi delle domande. Sta per salire sull'Iliushin che lo riporterà a Mosca, quando si rende conto «di quanto fosse falsa e illusoria la presunta nobile causa che sosteneva di difendere gli interessi della Russia di fronte alle ingerenze di una potenza straniera ostile».

Gabidullin, 50 anni, è il primo e unico mercenario del Gruppo Wagner - l'armata segreta e privata di Putin di cui nessuno a Mosca riconosce l'esistenza, accusata di ogni sorta di violenze nel mondo - che abbia deciso di raccontare le sue esperienze in un libro (Io, comandante di Wagner, Libreria Pienogiorno, 288 pagine, 18,90 euro), senza trincerarsi dietro l'anonimato. «Difficile prevedere cosa sarà del mio Paese, e di me - scrive - Temo forse per la mia vita o la mia libertà? Non sono una figura di spicco come Aleksey Naval'nyi o Boris Nemcov (il primo il capo del dissenso incarcerato, e il secondo il politico assassinato nel 2015 vicino al Cremlino, ndr). Non lancio appelli per salire sulle barricate e non dirigo alcun movimento di opposizione. Non faccio altro che parlare apertamente e con conoscenza di causa».

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In servizio presso un ospedale di Lugansk, il mercenario scopre che il reparto più impegnato non è la traumatologia, come ci si potrebbe aspettare, ma la chirurgia maxillo-facciale. «Quando il marito torna dal fronte di pessimo umore - gli spiegano - si imbottisce di alcol, e comincia a picchiare tutto ciò che si muove». Così trova «camere piene di donne, con delle stecche alle mandibole e delle bende a coprire le ferite».


LA PROMESSA

«Questa guerra noi non la volevamo, siete stati voi a scatenarla e ad alimentarla», gli dice un ragazzo a cui vende una stecca di sigarette al mercato. Così promette a se stesso: «Se mi spediranno di nuovo nel Donbass, per di più magari per combattere, allora no, non andrò». Gabidullin ha tenuto fede a questo suo proposito. Nel 2019, ha lasciato la divisa di un'organizzazione che, ufficialmente, non esiste. Oggi sostiene, in dichiarazioni alla Reuters, che il fallimento delle forze russe in ucraine si poteva prevedere: «L'esercito non era all'altezza del compito». Lui la chiamata per tornare al fronte l'aveva ricevuta, ma aveva rifiutato di tornare a combattere, e aveva avvertito che stavano sottovalutando il nemico. «Sono stati colti di sorpresa dal fatto che l'esercito ucraino abbia resistito così ferocemente».
L'ex mercenario nel libro spiega di essersi accorto che la Russia stava preparandosi a questa guerra da molto tempo, investendo miliardi di dollari mentre nel suo Paese «le persone anziane sono costrette a vivere di pensioni umilianti».

Oggi, scrive, sono tre distaccamenti di Wagner a partecipare ai combattimenti, a Mariupol e Kharkiv. «La nuova tendenza è scambiare il patriottismo con i dollari». Ma Gabidullin non è un pentito, né un delatore, come spiegano i curatori del volume, Ksenia Bolcharova e Alexandra Jousset. È un soldato, che si porta dietro tutte le contraddizioni dei russi contemporanei, che ha cominciato a scrivere ispirato dalla lettura dei Racconti di Sebastopoli di Tolstoj. Ex militare, poi passato alla criminalità, e infine alle operazioni militari segrete. Nel suo libro racconta la gavetta, la nomina a comandante, gli assalti alle città mentre le truppe di Assad restavano nelle retroguardie, la ferita provocata da una granata, proprio mentre stavano liberando Palmira dall'Isis. Tutti i fatti - sostiene - sono veri, solo i nomi sono cambiati. Così, il capo dell'organizzazione, il tenente colonnello Dimitrij Utkin, detto Wagner, è diventato Beethoven.

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Ultimo aggiornamento: Lunedì 16 Maggio 2022, 11:35
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