Taiwan, nuove incursioni aeree cinesi. La replica: «Non ci piegheremo». I motivi dello scontro

Jet cinesi sorvolano lo spazio aereo di Taiwan, sale la tensione

Nuove incursioni aeree cinesi. Taiwan: «Non ci piegheremo». I motivi dello scontro

di Raffaele Alliegro

Non si fermano le incursioni dei jet cinesi nello spazio aereo di Taiwan. Nelle ultime 24 ore ne sono state segnalate 56. L'ultima è stata messa a segno da 34 caccia J-16 e 12 bombardieri H-6 con capacità nucleare che hanno volato in un'area vicino alle isole Pratas controllate da Taiwan. In tutto, dopo quattro giorni consecutivi di incursioni, sono quasi 150 gli aerei cinesi inviati nella zona di difesa di Taiwan. E la presidente dell'isola, Tsai Ing-wen, in un articolo pubblicato dalla rivista “Foreign Affairs”, ha affermato di non cercare lo scontro militare e di volere la pace, aggiungendo che «se la democrazia e lo stile di vita sono minacciati, Taiwan farà tutto ciò che è necessario per difendersi. Non ci piegheremo». L'escalation diventa quindi sempre più minacciosa, anche perché le sue cause hanno radici antiche ma prendono il nome da due recentissimi trattati: l'Aukus e il Cptpp.

Taiwan, continuano le incursioni dei caccia cinesi: in quattro giorni 56 raid

La Cina rivendica Taiwan come parte integrante del suo territorio. E ha fatto sapere che adotterà tutte le misure necessarie per combattere qualsiasi tentativo di «indipendenza». Lo ha detto la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, replicando ai giudizi del portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price, che ha definito le attività militari della Cina vicino Taiwan «provocatorie» e «destabilizzanti». Hua ha protestato contro le ultime mosse degli Stati Uniti, come la vendita di armi a Taiwan e il rafforzamento dei legami anche a livello di funzionari. La Cina «intraprenderà tutte le azioni necessarie per distruggere qualsiasi complotto per l'indipendenza di Taiwan».

Quello tra Pechino e Taipei è dunque un conflitto antico, con Taiwan che reclama la propria indipendenza e la Cina che non può accettarla. Ma quest'ultimo, durissimo, braccio di ferro è la diretta conseguenza del riequilibrio di forze complessivo in atto nella regione dell'Indo-Pacifico. Regione che è diventata un nuovo baricentro degli interessi globali di politica estera, di difesa e commerciali. Il riequilibrio poggia sull'Aukus (l'accordo strategico in chiave anti-cinese tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia) e il Cptpp (la partnership commerciale che collega Canada, Australia, Brunei, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam). Proprio dopo l'annuncio dell'alleanza militare strategica dell'Aukus, il 16 settembre scorso il gigante asiatico ha chiesto di poter entrare nel Cptpp (Comprehensive and progressive agreement for trans-Pacific partnership).

Poi però è arrivata la richiesta di Taiwan, che Pechino considera una «provincia ribelle» da riunificare. Ed è iniziata l'escalation.

Anche Taiwan, infatti, ha presentato formalmente la domanda di adesione al Cptpp, inserendosi in una dinamica complessa iniziata molto tempo prima. L'accordo originario a 12 del Trans-Pacific partnership (Tpp) era nato come un forte contrappeso economico alla crescente influenza della Cina nell'Asia-Pacifico, su iniziativa di Obama. Ma nel 2017, al suo ingresso alla Casa Bianca, Donald Trump decise di ritirare gli Usa dal patto. Un nuovo gruppo, ribattezzato Cptpp, è quindi nato nel 2018 dopo i brevi negoziati aggiuntivi seguiti all'uscita degli Usa, con il via libera di undici Paesi. E anche la Gran Bretagna è in attesa di aderire dopo aver iniziato a giugno i colloqui. La domanda di adesione di Taipei al Cptpp, però, sarebbe «a rischio» se la Cina entrasse per prima nella partnership. Un «rischio» messo in evidenza dal capo negoziatore di Taiwan per il commercio, John Deng, proprio mentre il Giappone (uno degli 11 Paesi coinvolti) ha espresso apprezzamento per la mossa di Taiwan: il ministro degli Esteri Toshimitsu Motegi ha affermato che Taipei è un «partner estremamente importante del Giappone». Deng ha affermato che Pechino «ha sempre cercato di ostacolare la partecipazione» dell'isola a livello internazionale. Ma ha escluso collegamenti diretti con la domanda cinese. È quindi su questo terreno di antiche e recenti contrapposizioni geopolitiche che bisogna muoversi per capire e fermare l'escalation militare.

 

Ultimo aggiornamento: Lunedì 20 Febbraio 2023, 19:19
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