Elezioni Spagna, socialisti avanti ma c’è il rebus alleanze

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di Elena Marisol Brandolin
BARCELLONA Poco meno di 37 milioni di persone sono convocate quest’oggi per eleggere i propri rappresentanti alle Cortes Generales, 350 alla Camera e 208 al Senato. Queste sono le terze elezioni in poco più di tre anni in Spagna, a segnalare quanto sia divenuta complicata la governabilità con la fine del bipartitismo tra popolari e socialisti. E la prima preoccupazione è che il risultato porti ad una situazione di stallo simile a quella determinatasi con le elezioni del dicembre 2015, nel senso che non potendo più le urne risolvere il problema della maggioranza assoluta in capo ad un solo partito, la politica si riveli nuovamente incapace di fare le alleanze e i patti necessari per formare un governo.

Il secondo elemento è quello che con uno slogan viene definito come «la Spagna profonda»: nessuno sa più bene cosa questo significhi e che dimensioni abbia, in un paese dalle forti contraddizioni, capace di produrre i movimenti di massa più moderni ed estesi del continente europeo e allo stesso tempo generare un’estrema destra con un progetto che radica nel falangismo e si proietta all’incontro coi cugini d’oltreoceano. 

LA TENDENZA
Se a questo si somma una quota di indecisi che fino a una settimana fa rappresentava il 25-30% dell’elettorato e che sembra essersi ridotta con i due dibattiti televisivi degli scorsi 22 e 23 settembre, non stupisce la preoccupazione che si avverte per elezioni che sembrano del tutto ancora aperte.
Gli ultimi sondaggi risalgono ormai a cinque giorni fa, se si leggono incrociati per tutti gli istituti demoscopici si coglie una tendenza che si conferma durante l’intero periodo osservato: il Psoe in crescita diventa il primo partito con percentuali medie attorno al 29%, il PP crolla anche fino al 20%, Ciudadanos arriva quasi al 15% e Podemos retrocede fino al 14%; Vox entra in parlamento con l’11% dei consensi. Se queste previsioni venissero confermate dal conteggio dei voti, le tre destre non sommerebbero i seggi per realizzare la maggioranza assoluta di 176, mentre un governo a guida Sánchez avrebbe bisogno non solo dei voti di Podemos, ma anche di quelli di qualche altro partito, basco e/o catalano. 

LE INCOGNITE
Ma è qui che sorgono le incognite: i sistemi d’indagine demoscopica sono in grado di cogliere la portata del fenomeno dell’estrema destra? Si parla di «voto occulto» e c’è chi dice che di questi tempi potrebbe essercene perfino una quota del PP, partito talmente screditato da provocare vergogna a dichiararne la preferenza. Podemos spera nella remontada, considerando la buona riuscita di Pablo Iglesias nei dibattiti televisivi e la scarsa capacità dei sondaggi di rappresentare la forza elettorale del partito. 

Pablo Casado apre a Vox e a Ciudadanos per un governo all’andalusa, volendo così riaffermare il proprio primato sulla destra spagnola e allo stesso tempo riassorbendola tutta nell’alveo popolare. Pedro Sánchez parla esplicitamente di un possibile governo con Podemos e questo riconoscimento per un partito alla sua sinistra è un’autentica novità per il Psoe. Di certo, la partecipazione sembra essere un elemento chiave: in Spagna l’alto afflusso alle urne ha sempre favorito la sinistra, perciò Sánchez e Iglesias hanno insistito fino all’ultimo sulla necessità di andare a votare.

NIENTE EXIT POLL
Da cinque giorni non ci sono sondaggi e stasera non ci saranno exit poll, ma la pubblicazione sulle televisioni pubbliche spagnola e catalana di un’ultima inchiesta fatta dall’impresa demoscopica GAD3, che più di altre indovinò i risultati delle elezioni andaluse. Il suo presidente, Narciso Michavila, ha pubblicato un tweet con una data: «13-5-2001» che, a suo dire, sarebbe la chiave dell’enigma. In quel giorno di 18 anni fa, tra l’altro, ci furono elezioni politiche in Italia, vinte da Silvio Berlusconi con la Casa delle Libertà. 
Ultimo aggiornamento: Domenica 28 Aprile 2019, 15:10
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