Siria, avanzata della Turchia. Mossa di Francia e Germania: «Stop alle armi ad Ankara»

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di Marco Ventura
Avanzano nei territori sotto controllo curdo della Siria nord-orientale le forze turche e quelle dell'Esercito siriano libero composto, secondo alcuni, anche da frange islamiste vicine ad Al-Qaeda. Decine i morti tra i civili, non solo nei villaggi curdi ma nelle città turche al confine bersagliate dalla risposta dei mortai, e centinaia le vittime tra i combattenti curdi dell'YPG martellati dai raid aerei di Ankara. E se il premier italiano Conte ribadisce che sono «inaccettabili i ricatti di Erdogan», il ministro degli Esteri e capo politico dei 5S, Di Maio, annuncia che al suo primo Consiglio Ue domani in Lussemburgo chiederà «il bando delle forniture militari verso Ankara. L'Ue deve parlare con una sola voce». Forte la richiesta, in questo senso, pure di Zingaretti (Pd) e Italia Viva.

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LE ARMI
Peraltro la Turchia rappresenta il terzo Paese di esportazione per la nostra industria militare dopo Qatar e Pakistan. Germania e Francia, con Olanda e Norvegia, invece, hanno già ieri annunciato il blocco di nuove forniture. La Lega Araba condanna la mossa di Erdogan perché «invasione di un Paese arabo». Ma la Turchia reagisce e replica: distorcete i fatti.

Sul campo si combatte per il controllo di Ras Al-Ayn, mentre si prepara l'assalto a Tel Abyad. La penetrazione turca per tagliare linee di collegamento fino a quattro giorni fa tenute dai curdi, sarebbe arrivata in punti strategici ai 30 chilometri che rappresentano l'ampiezza della fascia da ripulire tramite l'operazione Fonte di pace ordinata da Erdogan. I bombardamenti, invece, sono concentrati sui centri minacciati via terra. A Kamishli e Kobane, il rischio di un coinvolgimento delle truppe americane nell'area, con il giallo di un bombardamento che ha colpito a poche centinaia di metri da una base Usa, ha determinato un rallentamento dell'offensiva per la reazione del Pentagono (e nonostante la smentita della Difesa di Ankara).

Secondo fonti curde, oltre 190mila sarebbero gli sfollati alla mezzanotte di venerdì, disordinatamente e disperatamente in fuga. E vi sarebbe pure una vittima altamente simbolica, la segretaria generale del Partito per il futuro della Siria la laica Havrim Khalaf, rimasta uccisa nell'esplosione di un'autobomba a Kamishli, un attentato dell'Isis che sta rialzando la testa e punta a liberare i prigionieri nei numerosi centri di detenzione vigilati (non si sa fino a quando) dai curdi.

Sul campo il lavoro sporco, la bonifica dei villaggi da quelli che per i turchi sono i terroristi dell'YPG componente curda maggioritaria dell'SDF, le Forze democratiche siriane, così come alcune esecuzioni segnalate da associazioni umanitarie locali, è svolto dai miliziani dell'Els. L'esercito turco consolida le posizioni, mentre tutto il dispositivo è sostenuto dall'artiglieria e dai raid aerei. Per questo i curdi invocano la creazione di una no-fly zone, e lanciano un appello alle forze americane richiamandole alla «responsabilità morale» di aiutare chi ha combattuto al loro fianco contro il terrorismo del Califfato.

L'IMPEGNO
Centinaia di jihadisti sono detenuti in una sola prigione presa di mira ieri a Hasake, Nord-Est della Siria, in un altro attentato. Per tranquillizzare le cancellerie di tutto il mondo circa gli effetti che l'offensiva potrà avere sul risorgere dell'Isis, il ministero degli Esteri turco avverte che sarà Ankara a garantire la detenzione dei combattenti dell'Isis, mentre collaborerà al rimpatrio dei familiari «non coinvolti nei crimini». Intanto, come sempre succede nelle guerre mediorientali, si muove la diplomazia delle potenze con interessi nell'area. Il presidente russo, Vladimir Putin, invoca il ritiro dalla Siria di tutte le forze militari straniere «illegali», con ciò attribuendo soltanto ad Assad e al governo siriano il diritto di autorizzare qualsiasi intervento. «L'integrità siriana dev'essere ripristinata - ha detto Putin - E questo vale anche per noi russi, se il governo siriano decidesse che non ha più bisogno di noi».

L'Iran si propone come mediatore tra Assad e Erdogan. Gli Stati Uniti ribadiscono di essere contrari all'azione turca (anche se l'hanno di fatto avallata con il ripiegamento e la non belligeranza delle forze che mantengono nell'area). La Lega Araba riduce i rapporti diplomatici con la Turchia che «minaccia la nostra sicurezza», prepara le sanzioni e arriva a ipotizzare il rientro di Damasco nell'organizzazione. Ma il fronte arabo anti-turco non comprende Qatar e Somalia. Intanto, secondo il Washington Post è possibile che l'attacco turco alle forze Usa sia stato intenzionale.
Ultimo aggiornamento: Domenica 13 Ottobre 2019, 11:20
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